mercoledì 18 ottobre 2023

Frullato di caki e mela

Originario dell’Asia orientale, il caki è una delle più antiche piante da frutta coltivate dall’uomo, non cresce mai al di sotto dei 20° di latitudine nord perché mal sopporta i climi caldo-umidi. Detto anche “mela d’Oriente”, fu definito dai cinesi, l’albero delle sette virtù; vive a lungo, non è attaccato dai parassiti, le sue foglie fanno una grande ombra, gli uccelli possono nidificare tra i suoi rami, le sue splendide foglie gialle rosse in autunno sono decorative fino ai primi geli, le foglie, essendo ricche di sostanze concimanti, aiutano il terreno a nutrirsi, ed infine, il suo legno da un bel fuoco.
In America e in Europa si diffuse intorno alla metà dell’Ottocento. In Italia giunse solo nel 1916 e iniziarono a coltivarlo nel salernitano. La coltivazione si estese poi in Emilia-Romagna. Oggi è diffuso in tutta Italia.
Questo delizioso frutto è composto da circa il 79% d’acqua, il 18% di zuccheri, proteine, grassi, vitamina C. È ricco di potassio e beta-carotene. È sconsigliato a chi soffre di diabete o ha problemi d’obesità. Ha notevoli proprietà lassative e diuretiche.
In dialetto napoletano è chiamato “legnasanta” perché, una volta aperto il frutto, si ritiene di poter “vedere” al suo interno l’immagine caratteristica del Cristo in croce.
Il nome corretto del frutto del caki, non è caco, come ormai è d’uso chiamarlo, ma caki come la pianta.

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Ingredienti per 2 persone.

1 caki mela
1 mela bio
125 g yogurt bianco intero
1cucchiaino di succo di limone
1 cucchiaino di zucchero di canna
Un pizzico di cannella
Un pezzettino piccolo di zenzero (spelato)

Procedimento


Spelate il caki (ma se è bio mantenete la buccia) sbucciate la mela, eliminate i semi e tagliatela a pezzetti e mettete tutto nel frullatore.
Aggiungete il succo di limone,  lo zenzero, il pizzico di cannella , lo yogurt e un cucchiaino di zucchero (potete aumentare la dose se lo preferite più dolce) e frullate tutto  fino ad ottenere un composto omogeneo. Versate nei bicchieri e servite.


 

mercoledì 11 ottobre 2023

Omelette con Taleggio e funghi

L’omelette si differenzia dalla frittata per la forma ovale e per la preparazione. Si prepara con l’aggiunta di un po’ di latte e, volendo, di farina. Prevede sempre un ripieno che viene posto nel centro o distribuito sopra l’omelette appena questa prende colore sul lato a contatto della padella ed è ancora morbida sulla parte superiore. Quindi la si piega e si completa la cottura a fiamma molto bassa.

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Ingredienti per 4 persone:

6 uova
200 gr di champignon
200 gr di Taleggio
4 cucchiai di latte
1 spicchio d’aglio
Qualche rametto di prezzemolo
Qualche rametto di maggiorana
Olio extravergine d’oliva q.b.
Sale e pepe q.b.

Procedimento

 Private il Taleggio della crosta e riducetelo a pezzetti.
Lavate  e sgrondate il prezzemolo e la maggiorana  poi tritateli.
Private i funghi della parte terrosa, lavateli velocemente sotto l’acqua corrente, asciugateli con la carta da cucina e tagliateli a spicchi.
Scaldate tre cucchiai d’olio in una padella antiaderente poi unite lo spicchio d’aglio intero e i funghi, fateli rosolare  per qualche minuto, salate e pepate.
Continuate la cottura per dieci minuti poi unite il trito di prezzemolo e maggiorana e fate cuocere ancora per cinque minuti, spegnete il fuoco ed eliminato lo spicchio d'aglio.
Rompete le uova in una ciotola, aggiungete il latte, salate e sbattete velocemente il composto.
Togliete i funghi dalla padella, scaldatela e versate le uova sbattute.
Cuocete l’omelette con il coperchio finché i bordi cominceranno a rassodare.
Distribuite sopra i funghi e il taleggio, piegate l’omelette e proseguite la cottura finché il formaggio sarà tutto sciolto.
Servite subito.
Potete anche fare singole omelette anziché una unica come in questo caso.

sabato 7 ottobre 2023

Rondelle di frittata e tacchino

Un piatto semplice e versatile da consumare in tutte le stagioni sia come secondo piatto, sia come antipasto o finger food per un aperitivo.
Numerose sono le varianti che potete preparare, per esempio, alle uova potete aggiungere delle zucchine tritate o degli spinacini se volete che la vostra frittata abbia un bel colore verde, delle carote, se la volete arancione, della conserva (come in questo caso) se la volete rossa.
Per il ripieno potete sostituire il tacchino che ho usato, con qualunque altro tipo di affettato o di verdura se la volete vegetariana, ad esempio utilizzando dei peperoni grigliati.
Potete anche farla cuocere in forno anziché in padella. In questo caso mettete la carta da forno leggermente oliata nella pirofila e fate cuocere in forno preriscaldato a 180°C per 15 minuti.

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Ingredienti per 12 rondelle alte circa 2 cm

3 uova di gallina

120 gr di formaggio cremoso spalmabile
100 gr di petto di tacchino affettato sottile
3 cucchiai di Parmigiano Reggiano grattugiato
1 cucchiaio di conserva
3 rametti di timo
Mezzo cucchiaio di erbette di Provenza (timo, maggiorana, basilico ecc.)
1 cucchiaio d’olio extravergine d’oliva
1 pizzico di sale fino

Procedimento

In una ciotola rompete le uova, unite gli aghetti del timo, la conserva, il Parmigiano, un pizzico di sale e sbattetele amalgamando bene tutto.



Scaldate l’olio in una padella antiaderente di 26 cm di diametro e versateci il composto di uova.
Fate cuocere da un lato poi girate la frittata e continuate la cottura dall’altro lato per due minuti.
Su di un ampio tagliere mettete un foglio di carta da forno e depositateci delicatamente la frittata per evitare di romperla.


Aiutandovi con la carta da forno arrotolatela e lasciatela così a raffreddare.


Nel frattempo, con l’aiuto di una forchetta, lavorate il formaggio per renderlo più cremoso e quindi facilmente spalmabile.
Quando la frittata si sarà raffreddata srotolatela e spalmatela in modo uniforme con la crema di formaggio, spolverizzate con le erbette di Provenza e sovrapponete le fette di tacchino in modo da ricoprire tutta la crema di formaggio.



Formate un rotolo e chiudetelo nella carta da forno. Mettetelo in frigorifero per almeno due ore.





Al momento di servire tagliatelo a rondelle di circa due cm di altezza.
Accompagnate con dei pomodorini o un’insalata mista.

mercoledì 27 settembre 2023

Cavoletti castagne e pancetta

Fin dai tempi più remoti erano note le proprietà curative dei vari tipi di cavolo che erano utilizzati, soprattutto nella cura di ulcere, ferite e affezioni respiratorie. I recenti studi hanno confermato le proprietà terapeutiche di questi ortaggi e ne hanno scoperte delle altre, come la funzione protettiva a livello arterioso e di prevenzione in alcune forme tumorali. I cavoli sono ricchi di sali minerali quali ferro, potassio, calcio, fosforo e di vitamina A, B2, C. di carotenoidi, di acido folico e di folati, indispensabili per prevenire la spina bifida in gravidanza. I cavoletti di Bruxelles (var. gemmifera Zenker), ovviamente, appartengono alla stessa famiglia e si raccolgono tra l’autunno e l’inverno. Si coltivano come i broccoli e si raccolgono i germogli inseriti lateralmente sullo stelo, chiusi e compatti, simili a piccoli cavoli cappucci. La raccolta dei più grossi stimola la pianta ad accrescersi e a produrne di nuovi.

Fonte: Coltiviamo la salute di Ciro Vestita ed. Giunti

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Ingredienti per 4 persone:

400 gr di cavoletti di Bruxelles

250 gr di castagne
100 gr di pancetta in una sola fetta non troppo sottile
3 cucchiai di aceto di mele
1 cucchiaino di zucchero
1 foglia di alloro
Sale e pepe q.b.
Olio extravergine d’oliva q.b.

Procedimento

Mettete le castagne e la foglia di alloro in un tegame, ricoprite con abbondante acqua e fate cuocere per trentacinque minuti. Scolate, lasciate intiepidire e sbucciatele (quest’operazione potete farla anche il giorno prima e tenete poi le castagne in frigorifero coperte da pellicola).

Nel frattempo, preparate gli altri ingredienti.
Togliete le foglie più brutte dei cavoletti e lavateli in abbondante acqua, scolateli e, se ce ne fossero di troppo grandi, divideteli a metà.
Lessateli in acqua salata per dieci minuti dal bollore, scolateli e lasciateli raffreddare.
Tagliate la pancetta a strisce.
In un’ampia padella scaldate due cucchiai d’olio, unite la pancetta e fatela dorare a fuoco medio per un paio di minuti, toglietela dalla padella e tenetela da parte.
Unite i cavoletti, le castagne e fate dorare e insaporire il tutto nel fondo di cottura della pancetta per un minuto.
Salate, pepate, aggiungete l’aceto, il cucchiaino di zucchero e qualche cucchiaio d’acqua. Abbassate il gas al minimo e continuate la cottura per cinque minuti, girando spesso.
A cottura ultimata unite la pancetta tenuta da parte, amalgamate bene tutto e servite.

 



martedì 26 settembre 2023

L'albero del pane

“…..nelle montagne dove si raccoglie poco grano, si seccano le castagne su grate al fumo e poi si mondano e se ne fa farina che valentemente supplisce per farne pane.”

L’erbario novo” di Castore Durante (XVI° sec.)

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Nelle dolci colline troviamo tutto il fascino dei castagneti, e in autunno, un tripudio di colori dalle calde tonalità rosso-aranciate che in inverno lasciano il posto allo splendore del bianco. I rami degli alberi si spogliano e rendono il paesaggio fatato, simile a un quadro di Dalì, permeato da un indefinibile mistero. Non sono solo belli da vedere questi castagneti, ma hanno sfamato intere generazioni e, nel corso degli anni, si è creata una vera e propria civiltà che ha prodotto tradizioni, sviluppato usi, tecniche agrarie e lavori fortemente legati a quest’albero.

Il castagno o “albero del pane” come fu definito da Senofonte nel IV secolo a.C. è originario dell’Asia Minore e della Grecia: si diffuse in Italia grazie agli Etruschi e cresce spontaneamente nella fascia climatica del Mediterraneo, dalla Turchia ai Balcani, alla penisola Iberica, sulle coste del Magreb, dall’Italia alla Francia. Furono gli ellenici i primi a sviluppare la coltivazione e a selezionare le varietà di castagne pur considerandole inizialmente come una sorta di ghianda. Utilizzavano questo nutriente frutto per preparate le pietanze più disparate, come il pane nero di Sparta, sfarinate, minestre. Greci, Ebrei e Fenici con i loro commerci le diffusero in tutto il bacino Mediterraneo.
Plinio racconta come i romani preparavano con la farina di castagne un pane particolare con cui si cibavano le donne durante le feste in onore di Cerere, periodo in cui era vietato per loro il consumo di cereali.
Apicio ci suggerisce invece di cucinarle nel tegame con aceto, miele, spezie ed erbe aromatiche, ma presso i latini erano prevalentemente cucinate sulla fiamma diretta, nel latte, o sotto la cenere.
Durante il Medioevo furono gli ordini monastici a sviluppare la coltivazione rimboscando aree pedemontane e perfezionando la conservazione delle castagne. Nacque così il mestiere di “castagnatores” svolto da contadini specializzati nella raccolta e nella lavorazione. Le castagne divennero così l’alimento principale per gli abitanti delle montagne e per questo motivo erano considerate un cibo plebeo, ma nel dodicesimo secolo s’iniziò a selezionare le qualità eccellenti, più grosse e preziose da destinare a un consumo elitario, i cosiddetti “marroni”.
Nel 1700 il marrone glassato (marrons glaces) raggiunse un grande successo presso i ceti più abbienti, talmente grande da giungere intatto fino a noi.
Dimenticati i giorni bui delle carestie e della fame, oggi, per fortuna, la castagna non ha più la funzione sostitutiva del pane ma ha assunto un ruolo voluttuario.
Questo frutto gustoso ben si presta a innumerevoli preparazioni, più o meno elaborate, ma è comunque il compagno ideale di un buon bicchiere di vino rosso da consumare nelle uggiose serate d’autunno e in quelle gelide d’inverno, magari seduti davanti all’allegro fiammeggiare di un camino in compagnia di amici con cui parlare dei tempi andati…

Autore: Maria Antonietta Grassi


Ed eccovi alcune ricette presenti nel blog, cliccate sul nome per leggere la ricetta:

Castagne al lardo

Fettuccine di castagne con porri salsiccia e provolone

Spaghetti di farro con castagne e pancetta

Zuppa di farro e castagne

Involtini di verza salsiccia e castagne

Castagnaccio toscano

Charlotte di marroni e mascarpone

Cheesecake alla confettura di castagne

Torta morbida di castagne e cioccolato 


sabato 23 settembre 2023

Insalata di gamberi e avocado

L’avocado è l’unico alimento che possiamo classificare come frutta, come grasso e come vegetale, nessun altro cibo accomuna queste caratteristiche e si utilizza spesso in cucina per molte ricette, soprattutto nei paesi in cui nasce.

É molto calorico infatti 100 gr di prodotto edibile (senza buccia) forniscono circa 230 calorie.
Originario dell’America Centrale, l’avocado o “aguate”, come era in origine il suo nome spagnolo, faceva parte dell’alimentazione  degli indigeni Atzechi e Maya.
La principale caratteristica nutrizionale di questo frutto consiste nella sua ricchezza di grassi, specialmente insaturi, come l’acido grasso linoleico ed  Omega-3, grassi “buoni” poiché stimolano la produzione di colesterolo buono (HDL) che aiuta a contrastare quello cattivo (LDL).
Grazie a questa proprietà, il consumo dell’avocado aiuta a diminuire il colesterolo nel sangue e quindi è di ausilio per prevenire l’arteriosclerosi e i disturbi circolatori.
É ricco anche di fitonutrienti, di glutatione e luteina, che sono  elementi antiossidanti e di vitamina A e vitamina E ed è altresì ottimo per i diabetici perché possiede la capacità di rallentare l’assorbimento del glucosio a livello intestinale.
Molte sono le ricette che prevedono l’utilizzo di quest’alimento, specialmente quelle messicane.
Quando acquistate l’avocado controllate che la buccia sia di un bel verde scuro, senza ammaccature e, premendo leggermente, deve essere un po’ morbido. Se è troppo duro, non è ancora maturo.


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Ingredienti per 4 persone

2 avocado

400 g di gamberi
200 g di pomodorini
Succo di limone q.b.
Qualche rametto di prezzemolo
Olio extravergine d’oliva q.b.
Sale fino q.b.
Pepe bianco (facoltativo) q.b.

Procedimento

Sciacquate i gamberi e fateli lessare in acqua acidulata con un po' di limone per due minuti a partire dal bollore.  Scolateli, eliminate il carapace e, aiutandovi con uno stecchino, togliete anche il filetto nero sul dorso.

Lavate, sgrondate e tritate il prezzemolo.
Lavate i pomodorini e tagliateli a spicchi.
Preparate un’emulsione (vinaigrette) amalgamando cinque cucchiai d’olio, sale, pepe e un cucchiaio di succo di limone
Lavate gli avocado, asciugateli poi tagliateli a fette e bagnatele con un po’ di succo di limone per evitare che anneriscano.
Mettete tutti gli ingredienti in una ciotola o in piatti individuali, condite con l’emulsione, spolverizzate con il prezzemolo e servite.

 

mercoledì 20 settembre 2023

Spaghetti con crema di avocado e pomodorini

L’avocado è l’unico alimento che possiamo classificare come frutta, come grasso e come vegetale. È un frutto, ma si utilizza in cucina, soprattutto nei paesi in cui nasce ed è molto calorico, infatti, 100 gr di prodotto edibile (senza buccia) forniscono circa 230 calorie.
Nessun alimento accomuna queste caratteristiche. Originario dell’America Centrale, l’avocado o “aguate”, come era in origine il suo nome spagnolo, faceva parte dell’alimentazione degli indigeni Atzechi e Maya.
La principale caratteristica nutrizionale di questo frutto consiste nella sua ricchezza di grassi, specialmente insaturi, come l’acido grasso linoleico ed Omega-3, grassi “buoni” poiché stimolano la produzione di colesterolo buono (HDL) che aiuta a contrastare quello cattivo (LDL).
Grazie a questa proprietà, il consumo dell’avocado aiuta a diminuire il colesterolo nel sangue e quindi è di ausilio per prevenire l’arteriosclerosi e i disturbi circolatori.
È ricco anche di fitonutrienti, di glutatione e luteina, che sono elementi antiossidanti e di vitamina A e vitamina E ed è altresì ottimo per i diabetici perché possiede la capacità di rallentare l’assorbimento del glucosio a livello intestinale.
Molte sono le ricette che prevedono l’utilizzo di quest’alimento, specialmente quelle messicane.
Quando acquistate l’avocado controllate che la buccia sia di un bel verde scuro, senza ammaccature e, premendo leggermente, deve essere un po’ morbido. Se è troppo duro, non è ancora maturo.


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Ingredienti per 4 persone:

 
320 gr di spaghetti
1 avocado maturo
300 gr di pomodorini
1 scalogno
1 limone
Prezzemolo tritato q.b.
Olio extravergine d’oliva q.b.
Sale q.b.


Procedimento


Lavate i pomodorini e tagliateli a metà
In una padella scaldate 4 cucchiai d’olio e fate soffriggere dolcemente lo scalogno tritato.
Unite i pomodorini, salate e fateli saltare per 5 minuti.
Tagliate a metà l’avocado, eliminate il nocciolo e sbucciatelo.
Frullatelo con il succo del limone e un pochino d’olio.
Aggiustate di sale.
Fate cuocere la pasta in abbondante acqua salata, scolatela al dente e tenete da parte mezzo bicchiere dell’acqua di cottura.
Versate la pasta nella padella con i pomodorini, unite la crema di avocado, l’acqua di cottura e il prezzemolo. Lasciate sul fuoco un paio di minuti amalgamando in modo da condire uniformante la pasta. Servite subito.





domenica 17 settembre 2023

Torta di mele con nocciole e amaretti

Tutti conosciamo questo delizioso frutto che, con la sua forma sferica, ci ricorda la totalità del cielo e della terra, simbolo del potere terrestre e divino insieme. Nella nostra tradizione il melo è l’albero del bene e del male, nella mitologia scandinava è considerato il cibo degli dei: è una mela d’oro che scatena la guerra di Troia, sono le mele i frutti dell’immortalità del giardino delle Esperidi che Ercole riesce a conquistare.
Fu una mela che cadendo in testa a Newton gli fece intuire il meccanismo della forza di gravità e fu sempre una mela che rese GuglielmoTell un eroe nazionale del popolo svizzero e via via fino ad arrivare alla simbologia moderna che la vede emblema di New York detta anche “LA GRANDE MELA”.



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Ingredienti:

200 gr di amaretti secchi Matilde Vicenzi
130 gr di biscotti “Digestive” o simili
100 gr di nocciole Dolce Gentile Piemontese tostate e spelate
3 mele rosse
3 uova
1 bicchierino di brandy
30 gr di burro (per imburrare la tortiera)
1 bustina di lievito per dolci
3 cucchiai di zucchero semolato

Procedimento

Tritate finemente i biscotti “Digestive”, mettetene da parte 40 gr (due cucchiai) e il resto mettetelo in una ciotola.
Tritate finemente gli amaretti e mettete anch’essi nella ciotola insieme al lievito.
Tritate le nocciole con un cucchiaio di zucchero e aggiungeteli al trito di amaretti e biscotti. Mischiate bene.
Accendete il forno a 170°.
Imburrate una teglia di 24 cm di diametro e rivestitela con i biscotti tenuti da parte.
Mettete le uova e un cucchiaio di zucchero in una ciotola capiente e montateli con le fruste elettriche.
Incorporate alle uova il trito preparato nella ciotola poco alla volta e alternandolo con il brandy.

Sbucciate le mele, tagliate a dadini una mela e mezza e a spicchi l’altra mela e mezza.
Aggiungete i dadini di mela al composto, amalgamate bene e versatelo nella tortiera. 


Sistemate sulla superficie della torta gli spicchi di mela, spolverizzate con lo zucchero rimasto e cuocete in forno per 50 minuti.
Lasciate riposare la torta per 10 minuti nel forno spento e semiaperto.
Servite con un vino bianco dolce (Moscato, Passito di Pantelleria, Vin Santo, ecc.)


Importante! Gli amaretti devono essere quelli secchi (tipo quelli di Matilde Vicenzi) e non molto dolci, diversamente, se utilizzate amaretti di altro tipo (e quindi molto più dolci) diminuite la percentuale di zucchero.


mercoledì 13 settembre 2023

Moscardini in umido

Spesso facciamo confusione tra i polpi e i moscardini e in effetti appartengono alla stessa famiglia di cefalopodi ma il moscardino ha una colorazione più scura, è più piccolo e meno pregiato del polpo; possiede una testa ovale, occhi più sporgenti e ha una sola fila di ventose sui suoi tentacoli al contrario il polpo, lungo ogni tentacolo possiede due file di ventose.
Esiste anche il moscardino bianco, molto simile allo scuro ma le sue carni sono meno pregiate e tenere.
Le sue carni sono magre e ricche di sali minerali e di vitamine A, B e E.
Vive prevalentemente su fondali fangosi e lo si pesca tutto l’anno ma tra marzo e aprile è più facile trovarlo in pescheria in quanto in quei mesi si spinge fino a riva per deporre le uova.
Quando l'acquistate prestate attenzione al colore; appena pescato è splendenti, poi perde lucentezza e, nel caso della varietà bianca, il colore tende al giallo, mentre nel bruno diventa plumbeo.
I tentacoli devono essere integri e sodi.
Infine, per una cottura uniforme cercate di prenderli tutti delle stesse dimensioni.
Estremamente versatile potete cucinarlo in vari modi: al vapore, lessato, alla piastra, in umido, fritto.
L’unica difficoltà consiste nella cottura, la più veloce è la frittura che richiede appena cinque minuti, la più lunga quella in umido che richiede dai 50 ai 60 minuti.
Per farlo rimanere tenero dovete prestare attenzione a questi piccoli trucchi:
Una volta privato della pellicola battetelo con un comune batticarne e immergetelo per pochi minuti in acqua calda acidulata con del succo di limone, servirà a rompere le fibre.


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Ingredienti per 4 persone:

700 gr di moscardini

300 gr di passata di pomodoro
1 spicchio d’aglio
Qualche rametto di prezzemolo
1 cucchiaio di capperi
Sale e pepe q.b.
Olio extravergine d’oliva q.b.

Procedimento

Pulite i moscardini immergendoli per qualche minuto in acqua salata acidulata con del succo di limone, poi asportate la pellicola che ricopre la sacca, giratela e asportate le interiora. Rigiratela ed eliminate anche gli occhi.

Eliminate il becco (rostro) che si trova all’interno della parte di carne che unisce i tentacoli alla base spingendolo fuori con i pollici.
Lavateli bene, soprattutto i tentacoli per eliminare completamente la sabbia.
A questo punto sono pronti per essere cotti.
Lavate e sgrondate il prezzemolo e tritatelo insieme ai capperi.
In una padella scaldate quattro cucchiai d’olio e fate dorare lo spicchio d’aglio, eliminatelo poi unite i moscardini e fateli rosolare per 2 minuti, irrorate con il vino e fatelo evaporare a fuoco vivo per qualche minuto.
Unite la passata di pomodoro, 2 dl di acqua bollente, aggiustate di sale e di pepe (o peperoncino se preferite) e continuate la cottura per altri 40/45 minuti. (o finché diventeranno teneri). Un minuto prima di spegnere il fuoco, unite il trito di prezzemolo e capperi.
Servite con fette di pane tostato.

martedì 12 settembre 2023

La storia del vino- Da Noè ai giorni nostri

Vino deriva dalla parola sanscrita “vena” formata dalla radice ven (amare), la stessa della parola Venus, Venere. Il vino è dunque, da sempre, legato all’amore, alla convivialità, alla gioia di vivere, alla cristianità, parte integrante del rito della Messa. Esso rilassa il corpo e la mente, ci inebria e ci predispone allo scambio con l’altro.
L’origine del vino si perde nella notte dei tempi ed è un po’ la storia dell’umanità, c’è chi, addirittura, fa risalire l’origine della vite sino a Adamo ed Eva, ipotizzando che il frutto proibito del Paradiso terrestre non fosse la mela ma l’uva: la Bibbia, nella Genesi, ci racconta che Noè salvò la vite dal diluvio universale portandola al sicuro sulla sua arca e che, terminato il diluvio, la piantò ottenendo una vigna e si ubriacò del suo vino.
Questo ci fornisce testimonianza di come, in Oriente, in epoca prediluviana, fossero già conosciute le tecniche enologiche. In effetti le prime tracce della coltivazione della vite si trovano in Asia Minore, nelle terre tra il Tigri e L’Eufrate: gli egiziani furono maestri e profondi conoscitori della pratica enologica, con la puntigliosità e la precisione che li distingueva, annotarono tutte le fasi del processo produttivo, dal lavoro nella vigna, alla conservazione. Con i geroglifici ci lasciarono numerose e dettagliate testimonianze su come si produceva il vino dei faraoni.

Essi furono dei grandi viticoltori e bevitori, Erodoto li descrive dettagliatamente mentre festeggiano il plenilunio in preda all’ubriachezza. I vini erano per lo più rossi e venivano conservati in anfore su cui il produttore apponeva un sigillo con l’anno della vendemmia, un marchio d.o.c. ante litteram.
Grazie ai Fenici e ai Greci il vino giunse in Italia e in Francia.




Furono i Greci a perfezionare i metodi di vinificazione e l’ubriachezza assunse un carattere sacrale al punto che nell’Olimpo fu assegnato un posto importante a Dioniso, figlio di Zeus, dio del vino. Dalla Grecia all’Italia il passo fu breve. In Italia, allora chiamata Enotria cioè terra della vite, fiorì la civiltà del vino. Nelle colonie greche in Calabria, a Sibari, fu addirittura costruito un enodotto di argilla che convogliava il vino verso il porto dove era imbarcato. La produzione e il consumo del vino passarono dai Greci ai Romani che la diffusero in tutte le province dell’Impero Romano fino a raggiungere l’Europa settentrionale.

 

Anfore romane per il trasporto del vino

Fonte: Museo Navale Romano - Albenga

I romani erano a conoscenza delle proprietà battericida del vino (come dimostrò nel 1866 L. Pasteur nel suo scritto Etudes sur le vin in cui scrive “il vino è la più salutare ed igienica di tutte le bevande”) e lo portavano nelle loro campagne militari come bevanda dei legionari. Tuttavia, il vino di Roma aveva poco a che vedere con quello che oggi conosciamo: i Romani lo bollivano per conservarlo meglio e così lo trasformavano in un denso liquido dolciastro di alta gradazione e lo allungavano con l’acqua (da qui il verbo mescere, in latino mescere significa mescolare), talvolta con quella di mare per renderlo meno acido. Le mense dei patrizi avevano un esperto che decideva le percentuali di vino e acqua da mischiare. Era molto gradito anche il “mulsum” (vino con il miele) ed era normale speziare e addolcire il vino con zucchero di canna, pepe, resina, sale, cannella, aloe e sambuco.

Era conservato in otri di terracotta rivestiti di pece e tenuti vicino alle canne fumarie. Questo nettare di Bacco era riservato solo agli uomini e il consumo era rigorosamente vietato alle donne. Anche i romani amarono a tal punto questa bevanda da assegnargli un dio: Bacco.
Nel frattempo, ci fu un’invenzione, da parte dei Galli, che rivoluzionò per sempre la conservazione del vino: la botte. I romani iniziarono quindi a utilizzare barili di legno, introducendo ed enfatizzando il concetto di “invecchiamento” e “annata”. Dal secondo secolo si cominciò a dare importanza alla coltivazione della vite nella Loira, nella Borgogna e nella Champagne.
Il declino dell’Impero Romano e la nascita del Cristianesimo segnarono l’inizio di un periodo controverso per il vino, da un lato esso era accusato dalla Chiesa di portare ebbrezza e perdizione, dall’altro i monaci benedettini non solo tennero in vita la cultura del vino, ma le diedero nuova linfa: produrre quella prelibata bevanda, utilizzata nel rito della Santa Messa, equivaleva a diffondere il messaggio di Dio. Nei campi di abbazie, monasteri e chiese si coltivava la vite. Furono i monaci a sperimentare nuovi uvaggi e tecniche innovative (fu un benedettino italiano a inventare il metodo della rifermentazione in bottiglia, poi ripreso da Dom Pérignon, l’inventore dello champagne).  Un ulteriore impulso al tentativo di produrre vini di alta qualità, specialmente in Borgogna, fu dato da Bernardo, ex monaco benedettino che, nel 1112, fondò l’ordine dei Cistercensi.
Contemporaneamente, nel bacino del Mediterraneo, la diffusione dell’Islamismo, tra l’Ottocento e il millequattrocento d.C., mise al bando la viticoltura in tutti i paesi conquistati.
Nel Rinascimento si torna a dare al vino il suo ruolo di protagonista della cultura occidentale, i mercanti inglesi, olandesi e veneziani trasportavano via mare ettolitri di vino, mentre i grandi Chateaux di Bordeaux iniziarono a produrre i grandi vini di pregio che conquisteranno la fama.


I conquistadores, nel Nuovo Mondo appena scoperto, scoprirono che il vino sopportava male la traversata e portarono con sé le talee di viti europee, per impiantarle sul suolo americano.
Il Settecento fu la vera epoca d’oro per il vino: l’arrivo della cioccolata dall’America, del caffè dall’Arabia, del tè dalla Cina e la diffusione della birra e dei distillati, indussero i produttori a cercare una qualità migliore per competere con le nuove bevande e questa necessità diede grande impulso alla sua conoscenza e alla ricerca di nuove tecniche di produzione. Fu inventato l’imbottigliamento con il tappo di sughero che sostituì i piccoli legni avvolti da stracci imbevuti nell’olio o legati da una colta di cera utilizzati fino ad allora per tappare le bottiglie; fu messa a punto la tecnica Champenois, si studiarono i lieviti e gli zolfi e si inventarono i torchi.
La Francia divenne la padrona assoluta e incontrastata dei grandi vini di Bordeaux e della Champagne che esportava in tutto il mondo. Fu in questo periodo che, sbarcato dal Nuovo Continente, con un battello a vapore, si diffuse un pericoloso nemico della vite: la filossera. Quest’afide micidiale divorerà le vigne europee per quarant’anni causando danni enormi, solo nel 1910, si riuscì a sconfiggerlo grazie all’intuizione di un francese che innestò le viti europee su quelle americane che ne erano immuni. Solo in poche zone esistono ancora dei vigneti che resistettero all’attacco dell’afide e si chiamano “franchi di piede”. In Italia possiamo trovarli in Alta Val d’Aosta (Blanc de Morgex), nell’area flegrea in Campania e ai piedi dell’Etna in Sicilia.
Nel diciannovesimo secolo si consolidò la posizione del vino nella civiltà occidentale, alla tradizione contadina si affiancarono studiosi che si adoperarono per la realizzazione di vini di maggiore qualità.
Ai nostri giorni, questa deliziosa bevanda è molto conosciuta e consumata in tutto il mondo. L’Italia è un paese eccezionalmente vocato alla viticoltura (ricordiamoci che i Greci la chiamarono Enotria, terra del vino) ma, questa vocazione, non è mai stata sfruttata appieno: fortunatamente, da qualche anno, parecchi produttori italiani lavorano sulla qualità, sulla bassa resa per ettaro e sull’applicazione di criteri scientifici in fase di vinificazione e questo consente la produzione di ottimi vini che nulla hanno da invidiare ai grandi vini francesi e, anche tra i consumatori, si va diffondendo la cultura del vino che trasforma un “bevitore” in un “degustatore” consapevole che il buon vino è un’opera d’arte, è il nettare degli dei!

Arianna e Bacco – Tiziano

 

CANZONA DI BACCO

Lorenzo De’ Medici

 

Quant'è bella giovinezza,
      che si fugge tuttavia!
      Chi vuol esser lieto, sia:
      di doman non c'è certezza.

    Quest'è Bacco e Arianna,
      belli, e l'un de l'altro ardenti:
      perché 'l tempo fugge e inganna,
      sempre insieme stan contenti.
      Queste ninfe ed altre genti
  sono allegre tuttavia.
      Chi vuol esser lieto, sia:
      di doman non c'è certezza.

      Questi lieti satiretti,
      delle ninfe innamorati,
  per caverne e per boschetti
      han lor posto cento agguati;
      or da Bacco riscaldati,
      ballon, salton tuttavia.
      Chi vuol esser lieto, sia:
  di doman non c'è certezza………

 

 Bibliografia: Enoteca Italiana – Tutto Vino- Giunti Demetra Editore

Autore: Maria Antonietta Grassi

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