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martedì 12 settembre 2023

La storia del vino- Da Noè ai giorni nostri

Vino deriva dalla parola sanscrita “vena” formata dalla radice ven (amare), la stessa della parola Venus, Venere. Il vino è dunque, da sempre, legato all’amore, alla convivialità, alla gioia di vivere, alla cristianità, parte integrante del rito della Messa. Esso rilassa il corpo e la mente, ci inebria e ci predispone allo scambio con l’altro.
L’origine del vino si perde nella notte dei tempi ed è un po’ la storia dell’umanità, c’è chi, addirittura, fa risalire l’origine della vite sino a Adamo ed Eva, ipotizzando che il frutto proibito del Paradiso terrestre non fosse la mela ma l’uva: la Bibbia, nella Genesi, ci racconta che Noè salvò la vite dal diluvio universale portandola al sicuro sulla sua arca e che, terminato il diluvio, la piantò ottenendo una vigna e si ubriacò del suo vino.
Questo ci fornisce testimonianza di come, in Oriente, in epoca prediluviana, fossero già conosciute le tecniche enologiche. In effetti le prime tracce della coltivazione della vite si trovano in Asia Minore, nelle terre tra il Tigri e L’Eufrate: gli egiziani furono maestri e profondi conoscitori della pratica enologica, con la puntigliosità e la precisione che li distingueva, annotarono tutte le fasi del processo produttivo, dal lavoro nella vigna, alla conservazione. Con i geroglifici ci lasciarono numerose e dettagliate testimonianze su come si produceva il vino dei faraoni.

Essi furono dei grandi viticoltori e bevitori, Erodoto li descrive dettagliatamente mentre festeggiano il plenilunio in preda all’ubriachezza. I vini erano per lo più rossi e venivano conservati in anfore su cui il produttore apponeva un sigillo con l’anno della vendemmia, un marchio d.o.c. ante litteram.
Grazie ai Fenici e ai Greci il vino giunse in Italia e in Francia.




Furono i Greci a perfezionare i metodi di vinificazione e l’ubriachezza assunse un carattere sacrale al punto che nell’Olimpo fu assegnato un posto importante a Dioniso, figlio di Zeus, dio del vino. Dalla Grecia all’Italia il passo fu breve. In Italia, allora chiamata Enotria cioè terra della vite, fiorì la civiltà del vino. Nelle colonie greche in Calabria, a Sibari, fu addirittura costruito un enodotto di argilla che convogliava il vino verso il porto dove era imbarcato. La produzione e il consumo del vino passarono dai Greci ai Romani che la diffusero in tutte le province dell’Impero Romano fino a raggiungere l’Europa settentrionale.

 

Anfore romane per il trasporto del vino

Fonte: Museo Navale Romano - Albenga

I romani erano a conoscenza delle proprietà battericida del vino (come dimostrò nel 1866 L. Pasteur nel suo scritto Etudes sur le vin in cui scrive “il vino è la più salutare ed igienica di tutte le bevande”) e lo portavano nelle loro campagne militari come bevanda dei legionari. Tuttavia, il vino di Roma aveva poco a che vedere con quello che oggi conosciamo: i Romani lo bollivano per conservarlo meglio e così lo trasformavano in un denso liquido dolciastro di alta gradazione e lo allungavano con l’acqua (da qui il verbo mescere, in latino mescere significa mescolare), talvolta con quella di mare per renderlo meno acido. Le mense dei patrizi avevano un esperto che decideva le percentuali di vino e acqua da mischiare. Era molto gradito anche il “mulsum” (vino con il miele) ed era normale speziare e addolcire il vino con zucchero di canna, pepe, resina, sale, cannella, aloe e sambuco.

Era conservato in otri di terracotta rivestiti di pece e tenuti vicino alle canne fumarie. Questo nettare di Bacco era riservato solo agli uomini e il consumo era rigorosamente vietato alle donne. Anche i romani amarono a tal punto questa bevanda da assegnargli un dio: Bacco.
Nel frattempo, ci fu un’invenzione, da parte dei Galli, che rivoluzionò per sempre la conservazione del vino: la botte. I romani iniziarono quindi a utilizzare barili di legno, introducendo ed enfatizzando il concetto di “invecchiamento” e “annata”. Dal secondo secolo si cominciò a dare importanza alla coltivazione della vite nella Loira, nella Borgogna e nella Champagne.
Il declino dell’Impero Romano e la nascita del Cristianesimo segnarono l’inizio di un periodo controverso per il vino, da un lato esso era accusato dalla Chiesa di portare ebbrezza e perdizione, dall’altro i monaci benedettini non solo tennero in vita la cultura del vino, ma le diedero nuova linfa: produrre quella prelibata bevanda, utilizzata nel rito della Santa Messa, equivaleva a diffondere il messaggio di Dio. Nei campi di abbazie, monasteri e chiese si coltivava la vite. Furono i monaci a sperimentare nuovi uvaggi e tecniche innovative (fu un benedettino italiano a inventare il metodo della rifermentazione in bottiglia, poi ripreso da Dom Pérignon, l’inventore dello champagne).  Un ulteriore impulso al tentativo di produrre vini di alta qualità, specialmente in Borgogna, fu dato da Bernardo, ex monaco benedettino che, nel 1112, fondò l’ordine dei Cistercensi.
Contemporaneamente, nel bacino del Mediterraneo, la diffusione dell’Islamismo, tra l’Ottocento e il millequattrocento d.C., mise al bando la viticoltura in tutti i paesi conquistati.
Nel Rinascimento si torna a dare al vino il suo ruolo di protagonista della cultura occidentale, i mercanti inglesi, olandesi e veneziani trasportavano via mare ettolitri di vino, mentre i grandi Chateaux di Bordeaux iniziarono a produrre i grandi vini di pregio che conquisteranno la fama.


I conquistadores, nel Nuovo Mondo appena scoperto, scoprirono che il vino sopportava male la traversata e portarono con sé le talee di viti europee, per impiantarle sul suolo americano.
Il Settecento fu la vera epoca d’oro per il vino: l’arrivo della cioccolata dall’America, del caffè dall’Arabia, del tè dalla Cina e la diffusione della birra e dei distillati, indussero i produttori a cercare una qualità migliore per competere con le nuove bevande e questa necessità diede grande impulso alla sua conoscenza e alla ricerca di nuove tecniche di produzione. Fu inventato l’imbottigliamento con il tappo di sughero che sostituì i piccoli legni avvolti da stracci imbevuti nell’olio o legati da una colta di cera utilizzati fino ad allora per tappare le bottiglie; fu messa a punto la tecnica Champenois, si studiarono i lieviti e gli zolfi e si inventarono i torchi.
La Francia divenne la padrona assoluta e incontrastata dei grandi vini di Bordeaux e della Champagne che esportava in tutto il mondo. Fu in questo periodo che, sbarcato dal Nuovo Continente, con un battello a vapore, si diffuse un pericoloso nemico della vite: la filossera. Quest’afide micidiale divorerà le vigne europee per quarant’anni causando danni enormi, solo nel 1910, si riuscì a sconfiggerlo grazie all’intuizione di un francese che innestò le viti europee su quelle americane che ne erano immuni. Solo in poche zone esistono ancora dei vigneti che resistettero all’attacco dell’afide e si chiamano “franchi di piede”. In Italia possiamo trovarli in Alta Val d’Aosta (Blanc de Morgex), nell’area flegrea in Campania e ai piedi dell’Etna in Sicilia.
Nel diciannovesimo secolo si consolidò la posizione del vino nella civiltà occidentale, alla tradizione contadina si affiancarono studiosi che si adoperarono per la realizzazione di vini di maggiore qualità.
Ai nostri giorni, questa deliziosa bevanda è molto conosciuta e consumata in tutto il mondo. L’Italia è un paese eccezionalmente vocato alla viticoltura (ricordiamoci che i Greci la chiamarono Enotria, terra del vino) ma, questa vocazione, non è mai stata sfruttata appieno: fortunatamente, da qualche anno, parecchi produttori italiani lavorano sulla qualità, sulla bassa resa per ettaro e sull’applicazione di criteri scientifici in fase di vinificazione e questo consente la produzione di ottimi vini che nulla hanno da invidiare ai grandi vini francesi e, anche tra i consumatori, si va diffondendo la cultura del vino che trasforma un “bevitore” in un “degustatore” consapevole che il buon vino è un’opera d’arte, è il nettare degli dei!

Arianna e Bacco – Tiziano

 

CANZONA DI BACCO

Lorenzo De’ Medici

 

Quant'è bella giovinezza,
      che si fugge tuttavia!
      Chi vuol esser lieto, sia:
      di doman non c'è certezza.

    Quest'è Bacco e Arianna,
      belli, e l'un de l'altro ardenti:
      perché 'l tempo fugge e inganna,
      sempre insieme stan contenti.
      Queste ninfe ed altre genti
  sono allegre tuttavia.
      Chi vuol esser lieto, sia:
      di doman non c'è certezza.

      Questi lieti satiretti,
      delle ninfe innamorati,
  per caverne e per boschetti
      han lor posto cento agguati;
      or da Bacco riscaldati,
      ballon, salton tuttavia.
      Chi vuol esser lieto, sia:
  di doman non c'è certezza………

 

 Bibliografia: Enoteca Italiana – Tutto Vino- Giunti Demetra Editore

Autore: Maria Antonietta Grassi

Se vi è piaciuto il mio articolo e volete leggere anche quello che descrive le varie vinificazioni cliccate qui

 

 

 

 

martedì 5 settembre 2023

Dal grappolo al vino



LE IMMAGINI E I TESTI PUBBLICATI IN QUESTO SITO SONO DI PROPRIETA’ DELL’AUTORE E SONO PROTETTI DALLA LEGGE SUL DIRITTO D’AUTORE N. 633/1941 E SUCCESSIVE MODIFICHE. COPYRIGHT © 2010-2050. TUTTI I DIRITTI RISERVATI A IL POMODORO ROSSO DI MARIA ANTONIETTA GRASSI. VIETATA LA RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE, DI TESTI O FOTO, SENZA AUTORIZZAZIONE.


Vino deriva dalla parola sanscrita “vena” formata dalla radice ven (amare), la stessa della parola Venus, Venere. Il vino è dunque, da sempre, legato all’amore, alla convivialità, alla gioia di vivere, alla cristianità, parte integrante del rito della Messa. Esso rilassa il corpo e la mente, ci inebria e ci predispone allo scambio con l’altro.
L’origine del vino si perde nella notte dei tempi ed è un po’ la storia dell’umanità, c’è chi, addirittura, fa risalire l’origine della vite sino ad Adamo ed Eva, ipotizzando che il frutto proibito del Paradiso terrestre non fosse la mela ma l’uva: la Bibbia, nella Genesi, ci racconta che Noè salvò la vite dal diluvio universale portandola al sicuro sulla sua arca e che, terminato il diluvio, la piantò ottenendo una vigna e si ubriacò del suo vino.
Il Piemonte è terra di nobili vini su cui sono stati scritti trattati ed enciclopedie: ad essi sono stati dedicati musei, itinerari, scuole di alta specializzazione e quant’altro.
Quando si pensa ai pregiati vini piemontesi non si può fare a meno di pensare alle colline su cui crescono vigneti stupendi, con i tipici caldi colori autunnali, non solo belli da vedere per le loro armoniose geometrie, ma oggi ancor più importanti per un’economia agricola sempre più radicata ed efficace.


Ogni grappolo racconta il miracolo delle stagioni, del sole, della pioggia, di un lavoro che ha mille sfumature da percepire. Questa è la fantastica magia di un popolo di lavoratori che ha fatto di quel vino un miracolo, un miracolo che vede nella vendemmia la sua sublimazione quando il grappolo abbandona la vigna e va a riposare nel legno. Nel riposo si determinerà la grande annata che arriva da una terra speciale dove un gruppo di agricoltori, lavorando insieme, hanno dato dignità al vino. Questa piccola storia, quasi una favola, ha fatto si che molti agricoltori del passato non abbandonassero il loro podere, quella grande idea, quell’attaccamento al territorio, ha garantito il decoro, ha dato lustro e grandezza al lavoro di questi campi e di queste colline. Oggi quelle uve, quel vino sono diventati un simbolo dell’Italianità nel mondo e quella cantina un punto di riferimento culturale per un piccolo mondo antico che conserva gelosamente il passato e dona alla modernità un emblema.
A inizio ottobre, quando gli acini sono gonfi e dolci, inizia un rito molto importante, che ha un fascino arcaico e magico: la vendemmia.
Inizia così la trasformazione dell’uva che diventerà quel nettare che tutti conosciamo con il nome di vino.


I grappoli vanno raccolti manualmente prestando molta attenzione al trasporto: l’uva deve arrivare integra e asciutta per poter poi procedere immediatamente alla “
diraspatura” (separare l’uva dai raspi) e alla pigiatura.


Incomincia quindi la
fermentazione, cioè quel processo che porterà l’uva a trasformarsi in vino.


Antico spremi grappoli


Mosto
La vinificazione avviene grazie ai lieviti che si trovano sulle bucce degli acini e che trasformano gli zuccheri dell’uva in alcol etilico (fermentazione alcolica) e, spesso, per ottenere dei vini di alta qualità, sono aggiunti al mosto dei lieviti selezionati.

Ogni tipologia di vino (rosso, bianco, rosato) seguirà un suo percorso di vinificazione, vediamo in cosa consiste:

 

Vinificazione in rosso

Il processo della vinificazione in rosso inizia togliendo subito il raspo per evitare che trasmettano troppi tannini che diluirebbero il colore, al contrario, a questo scopo, sono lasciati le bucce e i semi (vinaccioli) che donano al vino il colore rosso. Più tempo le bucce restano a contatto con il mosto, più forte sarà l’intensità del colore. Di solito questo tempo oscilla tra i 4/5 giorni per i rossi più leggeri, fino ad arrivare a un massimo di un mese per i grandi rossi (Barolo, Brunello, Barbaresco) ricchi di tannini, da far invecchiare.

Concluso questo processo, seguito scrupolosamente con continui rimontaggi, cioè con apporti di ossigeno al mosto per consentire ai lieviti di moltiplicarsi e impedire così arresti di fermentazione, si procede alla “svinatura”.
Si tolgono dal mosto le parti solide, cioè le vinacce, e sono torchiate per estrarre il vino che contengono; si tratta di un vino di torchio, molto ricco di colore e di tannini che è vinificato a parte e aggiunto al vino fiore per dargli spessore.
Il mosto è quindi travasato in contenitori d’acciaio, dove continua una fermentazione lenta, alla quale fa seguito una seconda fermentazione detta malolattica innescata dai batteri e non dai lieviti come nella fermentazione alcolica.


A questo punto il vino comincia il suo
processo di maturazione: il colore acquista tonalità meno vive e più calde, il sapore diventa pieno e rotondo.
Dopo la maturazione, per i vini adatti, segue la fase d’invecchiamento in grandi botti o in piccoli fusti di rovere (barriques, fusti di legno di quercia da 225 litri) che conferiscono al prodotto aroma di spezie e legno.

La durata di questo riposo sarà definita dal tipo di vino e dai suoi disciplinari: due anni o più per ottenere il titolo “riserva”.

L’invecchiamento continuerà nelle bottiglie perché l’ambiente privo di ossigeno porterà il vino al suo equilibrio ottimale.

Vinificazione in bianco

La vinificazione in bianco differisce da quella in rosso perché le parti solide dell’uva non devono rimanere a macerare con il mosto, vanno quindi separate immediatamente utilizzando delle apposite pigiatrici, con membrane a camera d’aria, che comprimo l’uva con molta delicatezza e consentono alle parti solide di non cadere nella vasca insieme al mosto. Le vinacce sono torchiate subito e il risultato della torchiatura può essere aggiunto, in parte o tutto, al mosto. Questo mosto, quasi privo si tannini, è particolarmente delicato e necessita di molte attenzioni.

Per ottenere un vino bianco fruttato, da bere giovane, è opportuno farlo fermentare in un tank di acciaio a 18°C: se, al contrario, vogliamo un vino da invecchiamento, bisogna farlo fermentare in botti di legno o barriques. In questo modo il vino trarrà dal legno i tannini necessari alla sua durata e conservazione.


Vinificazione in rosato

I vini rosati si ottengono vinificando in bianco le uve a bacca rossa; il mosto è mantenuto pochissimo a contatto con le vinacce (24/36 ore), quindi si svina e si fa fermentare il mosto a bassa temperatura, esattamente come per i bianchi.

I vini rosati, freschi e fragranti, devono essere consumati entro un anno dalla loro produzione.


Vino Novello

Si tratta in un vino fresco e profumato, deve il suo nome al fatto che è prodotto subito dopo la vendemmia e non è assolutamente adatto all’invecchiamento.

Per ottenerlo si utilizza la tecnica della macerazione carbonica, in altre parole, l’uva non pigiata è messa, tutta intera (raspi compresi), per 7/9 giorni, in serbatoi privati dell’aria mediante l’immissione di anidride carbonica, questo fa sì che i lieviti migrino dalla buccia alla polpa in cerca di ossigeno e acqua, dando così inizio a un processo di fermentazione.
Si procede poi alla vinificazione in rosso, con una pigiatura leggera e un’altra fermentazione di 3-4 giorni. Il vino ottenuto è leggero e dal sapore molto simile al chicco d’uva. Non può essere commercializzato prima del 6 novembre e il termine ultimo per l’imbottigliamento è il 31 dicembre dello stesso anno della vendemmia.


Autore: Maria Antonietta Grassi

 

 

Bibliografia: Enoteca Italiana – Tutto Vino- Giunti Demetra Editore

 

 

 

 

 

sabato 13 giugno 2020

Scaldatelli pizzaioli e Talò Primitivo di Manduria D.O.C.

I taralli pugliesi o la versione più grande come gli scaldatelli  sono un delizioso snack preparati con ingredienti semplici come farina, olio extravergine d’oliva,vino, sale.
Esistono diverse varianti, con il finocchio, con il peperoncino ecc., piccoli o più grandi o più allungati come questi.
Ottimi consumati da soli, ben si sposano con formaggi a pasta dura, salumi e un buon bicchiere di vino rosso come il Talò Primitivo di Manduria D.O.C. delle Cantine San Marzano di San Marzano (TA)
San Marzano è un piccolo paese nel centro della doc Primitivo di Manduria, una striscia di terra baciata da due mari nel Salento, lo Ionio e l’Adriatico. Nel 1962 la doc non è ancora nata, il Primitivo di Manduria è ben lontano dall’essere quel vino di culto, qual è diventato per gli amanti del vino. Eppure 19 vignaioli si uniscono in cooperativa per seguire un sogno e fondano le Cantine San Marzano.
Nel 1982 viene nominato presidente del C.d.A. Francesco Cavallo, personalità vulcanica e visionaria, che continua a sognare il futuro e sorvegliare il presente della cantina. Ininterrottamente fino a nostri giorni è il vero timoniere di questa realtà.
Nel 1996 le prime bottiglie escono finalmente dalla cantina grazie ad un moderno impianto d’imbottigliamento acquistato con l’impegno dei soci. Tale impegno segna il passaggio dalla commidity al brand, dall’economia dello sfuso al rapporto diretto con il consumatore finale.
A San Marzano i viticoltori si prendono cura della loro piccola vigna come si fa con un giardino. Le loro storie sono tante, così come i nomi delle loro famiglie.
Ne abbiamo scelto uno, Talò, per ringraziarli idealmente: famiglia per famiglia, storia per storia.
Talò nasce dal vitigno Primitivo a San Marzano nel Salento, Puglia a circa 100 metri sul livello del mare in un terreno a medio impasto argilloso, poco profondo e con buona presenza di scheletro .
Lo si vendemmia nella seconda settimana di settembre e la vinificazione avviene tramite macerazione termo-regolata di circa 10 giorni seguita da fermentazione alcolica con lieviti selezionati.
Viene poi affinato in barrique di rovere francese -americano per 6 mesi.
Colore rosso rubino arricchito da riflessi violacei; profumo opulento che rimanda alle ciliegie mature e alla prugna, con gradevoli note di cacao e vaniglia.
Vino di struttura notevole, ammorbidito dal suadente calore del Primitivo, che termina in note di lunga dolcezza.
Abbinamenti ideali: primi piatti robusti, carni d’agnello, cacciagione con salse elaborate e formaggi a pasta dura.
Servire a : 16-18°C


LE IMMAGINI E I TESTI PUBBLICATI IN QUESTO SITO SONO DI PROPRIETA’ DELL’AUTORE E SONO PROTETTI DALLA LEGGE SUL DIRITTO D’AUTORE N. 633/1941 E SUCCESSIVE MODIFICHE. COPYRIGHT © 2010-2050. TUTTI I DIRITTI RISERVATI A IL POMODORO ROSSO DI MARIA ANTONIETTA GRASSI. VIETATA LA RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE, DI TESTI O FOTO, SENZA AUTORIZZAZIONE.
 
Ingredienti per 4 persone:

500 gr di farina 00
100 ml di acqua
125 ml di vino bianco
150 ml di olio extravergine d’oliva
2 cucchiai di conserva di pomodoro
Origano q.b.
1 cucchiaino pieno di  sale fino

Da abbinare:

Procedimento

In una ciotola versate la farina, aggiungete un cucchiaino di sale fino  e  miscelate .
Versate un po’ alla volta l'olio e amalgamatelo alla farina.
Unite anche il vino e l’acqua  e inglobate all’impasto.
Aggiungete la conserva, il sale e l’origano e continuate ad inglobare.
Versate l’impasto su di una spianatoia infarinata e lavoratelo fino a renderlo compatto e omogeneo. 
Rimettetelo nella ciotola, coprite con la pellicola per alimenti e mettete in frigorifero per un’ora.
Trascorso il tempo togliete l’impasto dal frigo, mettetelo sulla spianatoia e prelevate delle piccole fette.
Arrotolatele fino a dare la forma di un piccolo bastoncino di circa 25 cm. e dello spessore di un mignolo. Formate delle ciambelle doppie e chiudetele con la pressione di un dito
Quando avrete ultimato tutto l’impasto scaldate dell’acqua leggermente salata in una casseruola, quando prenderà l’ebollizione gettateci dentro gli scaldatelli (pochi alla volta per non abbassare troppo la temperatura) e mantenete sempre il fuoco alto.
Quando verranno a galla scolateli con una schiumarola e metteteli ad asciugare su un foglio di carta da forno deposto sopra la leccarda.
Lasciate riposare ed asciugare per almeno 4 ore , l’ideale sarebbe tutta la notte così rimangono più fragranti.
Accendete il forno statico a 200°C e quando arriva a temperatura infornate gli scaldatelli e fate cuocere per circa 30 minuti. Dovranno risultare dorati non bruni.
Spegnete il forno , lasciateli all’interno ancora per 5 minuti poi est rateli e fateli raffreddare e consolidare.
Servite con un buon formaggio a pasta dura e/o con degli affettati e abbinate un buon bicchiere di vino Talò Primitivo di Manduria D.O.C. San Marzano.