L’origine del vino si perde nella notte dei tempi ed è un po’ la storia dell’umanità, c’è chi, addirittura, fa risalire l’origine della vite sino a Adamo ed Eva, ipotizzando che il frutto proibito del Paradiso terrestre non fosse la mela ma l’uva: la Bibbia, nella Genesi, ci racconta che Noè salvò la vite dal diluvio universale portandola al sicuro sulla sua arca e che, terminato il diluvio, la piantò ottenendo una vigna e si ubriacò del suo vino.
Questo ci fornisce testimonianza di come, in Oriente, in epoca prediluviana, fossero già conosciute le tecniche enologiche. In effetti le prime tracce della coltivazione della vite si trovano in Asia Minore, nelle terre tra il Tigri e L’Eufrate: gli egiziani furono maestri e profondi conoscitori della pratica enologica, con la puntigliosità e la precisione che li distingueva, annotarono tutte le fasi del processo produttivo, dal lavoro nella vigna, alla conservazione. Con i geroglifici ci lasciarono numerose e dettagliate testimonianze su come si produceva il vino dei faraoni.
Furono i Greci a perfezionare i metodi di vinificazione e l’ubriachezza assunse un carattere sacrale al punto che nell’Olimpo fu assegnato un posto importante a Dioniso, figlio di Zeus, dio del vino. Dalla Grecia all’Italia il passo fu breve. In Italia, allora chiamata Enotria cioè terra della vite, fiorì la civiltà del vino. Nelle colonie greche in Calabria, a Sibari, fu addirittura costruito un enodotto di argilla che convogliava il vino verso il porto dove era imbarcato. La produzione e il consumo del vino passarono dai Greci ai Romani che la diffusero in tutte le province dell’Impero Romano fino a raggiungere l’Europa settentrionale.
Anfore romane per il trasporto del vino
Fonte: Museo Navale Romano - Albenga
I romani erano a conoscenza delle proprietà battericida del vino (come dimostrò nel 1866 L. Pasteur nel suo scritto Etudes sur le vin in cui scrive “il vino è la più salutare ed igienica di tutte le bevande”) e lo portavano nelle loro campagne militari come bevanda dei legionari. Tuttavia, il vino di Roma aveva poco a che vedere con quello che oggi conosciamo: i Romani lo bollivano per conservarlo meglio e così lo trasformavano in un denso liquido dolciastro di alta gradazione e lo allungavano con l’acqua (da qui il verbo mescere, in latino mescere significa mescolare), talvolta con quella di mare per renderlo meno acido. Le mense dei patrizi avevano un esperto che decideva le percentuali di vino e acqua da mischiare. Era molto gradito anche il “mulsum” (vino con il miele) ed era normale speziare e addolcire il vino con zucchero di canna, pepe, resina, sale, cannella, aloe e sambuco.
I conquistadores, nel Nuovo Mondo appena scoperto, scoprirono che il vino sopportava male la traversata e portarono con sé le talee di viti europee, per impiantarle sul suolo americano.
La Francia divenne la padrona assoluta e incontrastata dei grandi vini di Bordeaux e della Champagne che esportava in tutto il mondo. Fu in questo periodo che, sbarcato dal Nuovo Continente, con un battello a vapore, si diffuse un pericoloso nemico della vite: la filossera. Quest’afide micidiale divorerà le vigne europee per quarant’anni causando danni enormi, solo nel 1910, si riuscì a sconfiggerlo grazie all’intuizione di un francese che innestò le viti europee su quelle americane che ne erano immuni. Solo in poche zone esistono ancora dei vigneti che resistettero all’attacco dell’afide e si chiamano “franchi di piede”. In Italia possiamo trovarli in Alta Val d’Aosta (Blanc de Morgex), nell’area flegrea in Campania e ai piedi dell’Etna in Sicilia.
Nel diciannovesimo secolo si consolidò la posizione del vino nella civiltà occidentale, alla tradizione contadina si affiancarono studiosi che si adoperarono per la realizzazione di vini di maggiore qualità.
Ai nostri giorni, questa deliziosa bevanda è molto conosciuta e consumata in tutto il mondo. L’Italia è un paese eccezionalmente vocato alla viticoltura (ricordiamoci che i Greci la chiamarono Enotria, terra del vino) ma, questa vocazione, non è mai stata sfruttata appieno: fortunatamente, da qualche anno, parecchi produttori italiani lavorano sulla qualità, sulla bassa resa per ettaro e sull’applicazione di criteri scientifici in fase di vinificazione e questo consente la produzione di ottimi vini che nulla hanno da invidiare ai grandi vini francesi e, anche tra i consumatori, si va diffondendo la cultura del vino che trasforma un “bevitore” in un “degustatore” consapevole che il buon vino è un’opera d’arte, è il nettare degli dei!
Arianna e Bacco – Tiziano
CANZONA DI BACCO
Lorenzo De’ Medici
Quant'è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Quest'è Bacco e
Arianna,
belli, e l'un de l'altro ardenti:
perché 'l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe ed altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati,
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza………
Autore: Maria Antonietta Grassi
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