lunedì 15 giugno 2020

Penne rigate al pesto di peperoni e Formaggio di Fossa

Per la preparazione di questa ricetta ho utilizzato un’eccellenza italiana:il Formaggio vaccino di Fossa di Sogliano DOP.
Prodotto in Emilia Romagna a Sogliano al Rubicone si caratterizza per  un gusto aromatico e sapore fragrante, leggero e gradevole, con un odore intenso e persistente, ottimo al taglio,  si sposa perfettamente con diversi tipi d’ingredienti. Ottenuto con latte vaccino  100% italiano viene stagionato per tre mesi, avvolto nella paglia, in tipiche fosse di forma ovale, scavate nella roccia. La tecnica di stagionatura del formaggio nelle fosse ha origine molto antica. Questo tipo di formaggio è nominato in due inventari del 1497 e del 1498. Da entrambi i documenti si evince che la fossa di tufo aveva un duplice utilizzo: in autunno era il luogo di conservazione del formaggio e in tempi diversi dell'anno serviva ad immagazzinare il grano per preservarlo dalle razzie dei soldati. Il produttore di formaggio affittava la fossa per il tempo che era necessario alla stagionatura, tre mesi o al massimo 100 giorni. Il formaggio veniva posto, come tutt'oggi avviene, in sacchetti di tela, coperti di paglia di fieno, per isolare il formaggio dall'aria.
Il periodo tradizionale di infossatura era fine agosto-settembre; la riapertura delle fosse avveniva il 25 novembre, giorno di Santa Caterina.
Ed infine ho aggiunto il tocco raffinato dell’olio extravergine prodotto dalla Cooperativa San Marzano di  San Marzano di San Giuseppe (TA). Alla vista si presenta di colore verde brillante con riflessi dorati, l’aroma che sprigiona ha un’elegante carica fruttata. Si ottiene mediante la spremitura fredda delle olive.
Tutte e due le Cooperative aderiscono al circuito Qui da Noi- Cooperative Agricole - Confcooperative


LE IMMAGINI E I TESTI PUBBLICATI IN QUESTO SITO SONO DI PROPRIETA’ DELL’AUTORE E SONO PROTETTI DALLA LEGGE SUL DIRITTO D’AUTORE N. 633/1941 E SUCCESSIVE MODIFICHE. COPYRIGHT © 2010-2050. TUTTI I DIRITTI RISERVATI A IL POMODORO ROSSO DI MARIA ANTONIETTA GRASSI. VIETATA LA RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE, DI TESTI O FOTO, SENZA AUTORIZZAZIONE.

Ingredienti per 4 persone:


320 gr di penne rigate
1 peperone rosso
1 peperone giallo
2 fette di melanzane per guarnire
Una decina di pomodori secchi sott’olio
40 gr di nocciole tostate senza guscio
20 foglie di basilico
Sale q.b.

Procedimento

Arrostite i peperoni sulla griglia o al forno e spellateli.
Lavate e sgrondate il basilico.
Tagliate a pezzi il formaggio.
Sgusciate e tostate le nocciole.
Mettete tutti gli ingredienti compresi i pomodorini nel mixer, aggiungete 4 cucchiai d’olio e frullate.
Quando il composto sarà omogeneo mettetelo in una ciotola o in un barattolo di vetro, salate e aggiungete tanto olio quanto basta per renderlo liscio e cremoso.
Tagliate le fette di melanzane  striscioline, salatele e fatele friggere in una padella con un pochino d’olio e tenetele da parte.
Cuocete la pasta in abbondante acqua bollente e salata, scolatela al dente  e lasciatela un pochino umida, condite con il pesto di peperoni.
Dividetela nei piatti o se preferite mettetela in un unico piatto da portata,guarnite con le striscioline di melanzane, una grattata di Formaggio di Fossa e un paio di foglie di basilico. Servite subito.
 Se vi avanza del pesto mettetelo in un barattolo, ricopritelo con un filo d’olio e chiudete ermeticamente. Si manterrà per un paio di giorni in frigorifero.



sabato 13 giugno 2020

Scaldatelli pizzaioli e Talò Primitivo di Manduria D.O.C.

I taralli pugliesi o la versione più grande come gli scaldatelli  sono un delizioso snack preparati con ingredienti semplici come farina, olio extravergine d’oliva,vino, sale.
Esistono diverse varianti, con il finocchio, con il peperoncino ecc., piccoli o più grandi o più allungati come questi.
Ottimi consumati da soli, ben si sposano con formaggi a pasta dura, salumi e un buon bicchiere di vino rosso come il Talò Primitivo di Manduria D.O.C. delle Cantine San Marzano di San Marzano (TA)
San Marzano è un piccolo paese nel centro della doc Primitivo di Manduria, una striscia di terra baciata da due mari nel Salento, lo Ionio e l’Adriatico. Nel 1962 la doc non è ancora nata, il Primitivo di Manduria è ben lontano dall’essere quel vino di culto, qual è diventato per gli amanti del vino. Eppure 19 vignaioli si uniscono in cooperativa per seguire un sogno e fondano le Cantine San Marzano.
Nel 1982 viene nominato presidente del C.d.A. Francesco Cavallo, personalità vulcanica e visionaria, che continua a sognare il futuro e sorvegliare il presente della cantina. Ininterrottamente fino a nostri giorni è il vero timoniere di questa realtà.
Nel 1996 le prime bottiglie escono finalmente dalla cantina grazie ad un moderno impianto d’imbottigliamento acquistato con l’impegno dei soci. Tale impegno segna il passaggio dalla commidity al brand, dall’economia dello sfuso al rapporto diretto con il consumatore finale.
A San Marzano i viticoltori si prendono cura della loro piccola vigna come si fa con un giardino. Le loro storie sono tante, così come i nomi delle loro famiglie.
Ne abbiamo scelto uno, Talò, per ringraziarli idealmente: famiglia per famiglia, storia per storia.
Talò nasce dal vitigno Primitivo a San Marzano nel Salento, Puglia a circa 100 metri sul livello del mare in un terreno a medio impasto argilloso, poco profondo e con buona presenza di scheletro .
Lo si vendemmia nella seconda settimana di settembre e la vinificazione avviene tramite macerazione termo-regolata di circa 10 giorni seguita da fermentazione alcolica con lieviti selezionati.
Viene poi affinato in barrique di rovere francese -americano per 6 mesi.
Colore rosso rubino arricchito da riflessi violacei; profumo opulento che rimanda alle ciliegie mature e alla prugna, con gradevoli note di cacao e vaniglia.
Vino di struttura notevole, ammorbidito dal suadente calore del Primitivo, che termina in note di lunga dolcezza.
Abbinamenti ideali: primi piatti robusti, carni d’agnello, cacciagione con salse elaborate e formaggi a pasta dura.
Servire a : 16-18°C


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Ingredienti per 4 persone:

500 gr di farina 00
100 ml di acqua
125 ml di vino bianco
150 ml di olio extravergine d’oliva
2 cucchiai di conserva di pomodoro
Origano q.b.
1 cucchiaino pieno di  sale fino

Da abbinare:

Procedimento

In una ciotola versate la farina, aggiungete un cucchiaino di sale fino  e  miscelate .
Versate un po’ alla volta l'olio e amalgamatelo alla farina.
Unite anche il vino e l’acqua  e inglobate all’impasto.
Aggiungete la conserva, il sale e l’origano e continuate ad inglobare.
Versate l’impasto su di una spianatoia infarinata e lavoratelo fino a renderlo compatto e omogeneo. 
Rimettetelo nella ciotola, coprite con la pellicola per alimenti e mettete in frigorifero per un’ora.
Trascorso il tempo togliete l’impasto dal frigo, mettetelo sulla spianatoia e prelevate delle piccole fette.
Arrotolatele fino a dare la forma di un piccolo bastoncino di circa 25 cm. e dello spessore di un mignolo. Formate delle ciambelle doppie e chiudetele con la pressione di un dito
Quando avrete ultimato tutto l’impasto scaldate dell’acqua leggermente salata in una casseruola, quando prenderà l’ebollizione gettateci dentro gli scaldatelli (pochi alla volta per non abbassare troppo la temperatura) e mantenete sempre il fuoco alto.
Quando verranno a galla scolateli con una schiumarola e metteteli ad asciugare su un foglio di carta da forno deposto sopra la leccarda.
Lasciate riposare ed asciugare per almeno 4 ore , l’ideale sarebbe tutta la notte così rimangono più fragranti.
Accendete il forno statico a 200°C e quando arriva a temperatura infornate gli scaldatelli e fate cuocere per circa 30 minuti. Dovranno risultare dorati non bruni.
Spegnete il forno , lasciateli all’interno ancora per 5 minuti poi est rateli e fateli raffreddare e consolidare.
Servite con un buon formaggio a pasta dura e/o con degli affettati e abbinate un buon bicchiere di vino Talò Primitivo di Manduria D.O.C. San Marzano.

mercoledì 10 giugno 2020

Sformato di patate prosciutto e Casciotta d’Urbino.

La Casciotta d’Urbino D.O.P. è un formaggio che ha origini antichissime. Il suo nome deriva da un errore di trascrizione di un impiegato che scambio la “c” in “sc” pronuncia dialettale della “c” tipica dell’area marchigiana.
L’area di produzione della “Casciotta d’Urbino” coincide con l’intera provincia di Pesaro-Urbino. Una zona fondamentale per il pascolo intensivo, caratterizzata da particolari erbe montane, da una flora ricca e variata, da una ricchezza di terreni erbosi a base di graminacee, che fornisce l’alimentazione delle pecore e delle mucche.
Nasce dalle stesse colline che abbracciano il Montefeltro, in quella culla del Rinascimento che ha nutrito la sapienza artigiana, artistica e contadina. Sapori e saperi che testimoniano come la Cultura nasca dal rapporto con la terra, la Cultura si coltiva (non a caso Cultura deriva da còlere-coltivare) L’ispirazione è nelle cose, nei paesaggi, nei sapori.
Tra gli estimatori più famosi di questo formaggio troviamo Michelangelo Buonarroti come testimonia un carteggio con l’amico Francesco Amatori di Casteldurante (attuale Urbinia) dove si citano le Casciotte prodotte per la mensa dell’illustre artista. Egli amava a tal punto questo formaggio da affittare una serie di poderi nel territorio durantino, allo scopo di garantirsi un continuo rifornimento.
Questo delizioso formaggio ha forma cilindrica a scalzo basso con facce arrotondate e un diametro tra i 12 e i16 cm e pesa dagli 800 ai 1200 grammi circa. Il colore della pasta è bianco paglierino e la struttura molle e friabile caratterizzata da lieve occhieggia tura. La crosta  paglierina è sottile (circa 1 mm).
Il sapore è dolce, caratteristico della miscela del latte di provenienza (3 parti di ovino e 1 parte di vaccino) e della breve stagionatura di circa 15/20 giorni. Essendo una D.O.P. dal 1996(Denominazione di Origine Protetta),  deve essere munito del contrassegno indicato nel decreto di riconoscimento, a garanzia delle rispondenza del prodotto alle specifiche normative.
La Casciotta d’Urbino va consumata fresca e una volta tagliata va protetta con la pellicola trasparente e conservata in frigo (4/8°C) per qualche giorno. Se usato come formaggio da tavola, prima di consumarlo, si consiglia di lasciarlo almeno un’ora a temperatura ambiente.
La “Casciotta d’Urbino che utilizzato per questa ricetta è stata prodotta dalla Cooperativa Agricola TreValli Cooperlat che aderisce al progetto “Qui da Noi” di Confcooperative.


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Ingredienti per 4/5 persone:



1 kg di patate
150 gr di prosciutto cotto a cubetti
2 cipolle bianche medie
125 gr di panna da cucina
300  gr di Casciotta d’Urbino
30 ml di vino bianco secco
Olio extravergine d’oliva q.b.
Burro per la pirofila
Sale q.b.

Procedimento
Lavate le patate sotto l’acqua corrente e mettetele in una pentola. Copritele con l’acqua fredda, salate, portate ad ebollizione e fate cuocere per 20 minuti. Scolate e lasciate raffreddare.
Pulite le cipolle e tagliatele a fettine sottili (alla veneziana).
In una padella scaldate 3 cucchiai d’olio e fate rosolare le cipolle, quando saranno rosolate (attenzione, non bruciate), aggiungete i cubetti di prosciutto cotto,  e continuate la cottura per 5 minuti.
Pelate le patate  e tagliatele a rondelle non troppo spesse.
Imburrate la pirofila e disponete metà delle fette di patate, ricopritele con metà del soffritto di cipolla e prosciutto cotto.
Fate un altro strato con gli ingredienti rimanenti.
Versate la panna sulla  superficie.
Tagliate a fette abbastanza spesse la Casciotta d’Urbino e adagiatela sulla tartiflette.
Irrorate con il vino bianco e infornate ( forno già caldo a 200°C) per 20 minuti.
Sfornate e servite subito.





 


martedì 9 giugno 2020

Schiscetta con frittata, pomodori e peperoni


La parola schiscetta è un vocabolo dialettale lombardo che si riferiva originariamente al contenitore impiegato per il trasporto di vivande e usato tipicamente da operai e studenti.
Deve il suo nome al verbo schiacciare , schiscià in milanese, perché il cibo veniva schiacciato nel contenitore.
La schiscetta è stata prodotta in tantissime versioni, la più nota è la “La 2000” progettata specificamente per operai e studenti da Renato Caimi e prodotta industrialmente a partire dal 1952 in società con il fratello Mario dalla dirtta Pentolux di Nova Milanese.
A Milano e in Lombardia, questo modello di contenitore, è considerata un’icona del boom economico e il modello “La 2000” è esposto permanentemente al museo del design della Triennale presso la Villa Reale di Monza, è stata celebrata sa Assolombarda nel Gennaio del 2018 ed il brevetto originale è stato esposto a Roma presso l’Ara Pacis.
Tuttora il termine è utilizzato per descrivere l’azione di portare il cibo sul luogo di lavoro, studio o altro.



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Ingredienti per 1 persona

Per la frittata
2 uova
Una falda di peperone giallo
5 pomodorini Pachino tipo datterino
Una decina di foglie di basilico
2 cucchiai di mais per impanature (o di pangrattato)
Olio extravergine d’oliva q.b.
Sale e pepe q.b.

Per il contorno
Una decina di pomodorini rossi verdi e gialli
30 g di rucola
1 cucchiaino di semi di girasole 
1cucchiaino di semi di lino
Olio extravergine d’oliva q.b.
Aceto di mele q.b.
Sale q.b.

Procedimento

Frittata
Lavate i pomodorini , tagliateli a metà.
Tagliate a dadini la falda di peperone
Lavate e sgrondate il basilico.
In una ciotola sbattete leggermente le uova , aggiungete il mais, salate e amalgamate tutto.
Oliate una pirofila da forno distribuite i pomodorini, il peperone e il basilico, salate e versate sopra il composto di uova e pangrattato.
Infornate (forno già a temperatura di 180°C)  per 30/35 minuti.
Sfornate, lasciate raffreddare e mettetela in un contenitore da asporto.

Per il contorno
Lavate e sgrondate la rucola, mettetela nel contenitore da asporto, unite i pomodorini tagliati a metà e i semi.
Al momento  del consumo condite con olio, aceto e sale.


sabato 6 giugno 2020

Pagnotta al sesamo

Nella farina la lettera W seguita da un numero rappresenta la forza del glutine in essa contenuta. Quando è alto, come in questo caso, vuol dire che la farina contiene molto glutine e quindi è adatta per le lunghe lievitazioni.
Il glutine è una proteina che si origina, in presenza di acqua ed energia meccanica (impasto) dall’unione di due tipi di proteine: la gliandina e la glutenina presenti nei cereali quali frumento, farro, orzo, segale.
Questa proteina è spesso usata come sostitutivo della carne nelle diete vegetariane e viene utilizzato per la base del seitan.
Il glutine conferisce agli impasti elasticità, viscosità e coesione. Maggiore è il contenuto di glutine migliore è la qualità del prodotto.
Questa doppia lievitazione (frigo e temperatura ambiente) nonché la lunga durata della stessa, conferiscono al pane una morbidezza e una fragranza del tutto particolari.


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Ingredienti 

500 g di farina per panificazione w350
180 g di lievito madre rigenerato
380 ml d’acqua a temperatura ambiente
Olio extravergine d’oliva q.b.
Semi di sesamo q.b.
Sale fino q.b.

Procedimento

Setacciate la farina in una ciotola capiente, sciogliete il lievito nell’acqua e unitelo alla farina.
Amalgamate bene tutto, poi mettetelo su di una spianatoia, leggermente infarinata, e impastate fino ad ottenere un composto omogeneo.
Allargatelo e unite 2 cucchiai d’olio e 1 cucchiaio di sale fino.
Continuate ad impastare fino a quando l’impasto risulterà elastico (circa 15/20 minuti).
Formate una palla, ungete una ciotola e depositatecela. Coprite con della pellicola e lasciate lievitare per 1 ora nel forno spento o in un luogo tiepido e privo di correnti d’aria.
Trascorso il tempo riprendete l’impasto e mettetelo su di un piano infarinato, dategli la forma di un panetto rettangolare e poi procedete alla piegatura come per preparare la pasta sfoglia. Stendete un po’ il panetto,poi ripiegate verso il centro i due lati corti, 
lasciate riposare, poi girate di 90° appiattite leggermente e ripiegate i lati.
Questa operazione consentirà d’inglobare molta aria, il che renderà la pasta morbida e ben alveolata. Riformate una palla, ungetela leggermente e rimettetela nella ciotola. Coprite con la pellicola e ponete in frigo per 16/20 ore.
Togliete l’impasto dal frigo, deponetelo sulla leccarda, preventivamente ricoperta con carta da forno, dategli una forma cubica, spennellatelo delicatamente con un pochino d’olio, distribuite i semi di sesamo e lasciatelo riposare un paio d’ore. 
Trascorso il tempo accendete il forno a 200°C e mettete, sul fondo dello stesso, un pentolino pieno d’acqua.
Quando il forno sarà caldo al punto giusto, praticate un taglio a croce sull’impasto e infornate. Lasciate cuocere per 35/45 minuti.
Sfornate e fate raffreddare su di una gratella.


Se non avete il lievito madre (ma ormai lo si trova anche disidratato in tutti i supermercati) utilizzate il lievito di birra nella misura di mezzo panetto se fresco e una bustina se secco e preparate prima con esso il cosiddetto lievitino). I tempi sono gli stessi.




venerdì 5 giugno 2020

Ciliegie di Pecetto alla panna e Barolo


La coltivazione del ciliegio è stata introdotta nella Collina Torinese dagli antichi Romani nella loro colonia di Carreum Potentia (l’attuale Chieri) e, secondo storici locali, i Savoia e gli eremiti Camaldolesi del’Eremo  nei secoli XVII e XVIII contribuirono a diffonderla nella zona di Pecetto; i primi come pastura e richiamo per gli uccelli  per le loro cacce, i secondi per fare confetture, liquori (ratafià) e decotti con le foglie.
Nel XIX secolo la coltivazione del ciliegio era una produzione secondaria ma molto importante per l’economia famigliare agricola.
Il mercato delle ciliegie si svolgeva a Pecetto sulla via Maestra (oggi via Umberto I) all’ombra della Chiesa dei Battù, dove le ciliegie trovavano posto insieme a uova, animali di bassa corte, ortaggi e altra frutta nelle ceste che le massaie portavano in spalla.
I ciliegi erano coltivati come tutori alle testate dei filari di vite e nei piccoli prati esistenti lungo i rii; le varietà allora coltivate erano le cirese (ciliegie tenerine o semplicemente ciliegie) la Viton-a, la Nejran-a(oggi ridotta a pochi soggetti), la Molan-a;
tra i grafion (duroni):il Grafion neir (oggi scomparso), il Grafion bianc  e poi la Griota.
Nel 1899 l’arrivo della peronospora sulle vigne che coprivano la collina di Pecetto ne compromise la vitalità e la produzione, stimolando alcuni notabili Pecetesi, tra cui l’avv, Mario Mogna, a ricercare una alternativa alla monocoltura vitivinicola a favore del ciliegio
Senz'altro la vicinanza al "mercato" di Torino era un fattore molto importante per un frutto così delicato, in tempi in cui i trasporti erano a traino animale.
L'ambiente pedo-climatico si era dimostrato molto favorevole alla produzione cerasicola. Infatti la giacitura collinare esposta a Sud, riparata dai venti freddi settentrionali ed elevata sulla pianura umida, nebbiosa, con correnti e gelate tardive, costituisce un microclima frutticolo ideale.Fu così che a cominciare dal secondo lustro del novecento si incrementò l'impianto di ciliegi.
Nel 1916, mentre i giovani erano in guerra (quindi con carenza di mano d'opera) e i nuovi impianti iniziavano a produrre, il nuovo Sindaco Mario Mogna istituì il Mercato delle Ciliegie pomeridiano
Il 1926 ancora una data significativa: muore il grande promotore Mario Mogna e arriva anche a Pecetto la Fillossera che  distrugge le vigne, ma la strada è tracciata. Una parte dei vigneti vengono sostituiti con ceraseti e si realizza il grande sviluppo, sostenuto negli anni trenta dai tecnici della Cattedra Ambulante di Agricoltura che introducono nuove varietà - la Martini (introdotta appunto dal Prof. Martini), la Vigevano - e sostenuto ancora da una forte promozione, che crea lo slogan "Pecetto - Paese delle ciliegie", rimasto nell'immaginario piemontese.
Il Mercato delle Ciliegie di Pecetto divenne il mercato alla produzione e il centro di riferimento per la cerasicoltura che si andava affermando nei comuni confinanti di Revigliasco, Pino, Chieri, in parte anche di Trofarello e poi, con la diffusione della motorizzazione a metà anni '50, di Baldissero, Pavarolo, Bardassano (Gassino), Sciolze, Montaldo e oltre ancora, fin a Revigliasco d'Asti. Frequentato da commercianti grossisti del MOI (Mercato Ortofrutticolo all'Ingrosso - "i Mercati generali") e dettaglianti di Torino.
La raccolta comportava un lavoro notevole per cui si dedicava tutta la famiglia coltivatrice, i pecettesi non altrimenti impegnati e poi arrivavano i ciresè, descritti dalla Maestra Cristina Masera di Trofarello che si incaricava di andare a contattarli.
"Erano uomini dal comportamento meraviglioso che, con il maturare delle ciliegie, lasciavano le loro case sulle montagne del Cuneese (in specie Saluzzese) per giungere a Trofarello e nei paesi dei dintorni a raccogliere ciliegie, amarene e duroni. Con il loro arrivo, le colline si animavano di canti che echeggiavano da un podere all'altro come un richiamarsi quasi per riconoscersi e sentirsi più vicini. E poi , alla sera, dopo una giornata di 12-13 ore passate su scale di legno lunghe di molti metri oltre la decina, si ritrovavano tutti insieme a parlare, cantare, discutere davanti ad un bicchiere di vinello."
La "campagna delle ciliegie" (la stagione di raccolta) durava dai 20 ai 40 giorni.
Le Ciliegie di Pecetto attualmente sono state riconosciute come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT), e l'inclusione delle stesse nel Paniere dei Prodotti Tipici della Provincia di Torino
Sotto questo marchio la FACOLT promuove le Ciliegie di Pecetto per il consumo fresco, produce i classici Grafioni sotto Spirito, il Ratafià di Grafioni e incentiva le altre trasformazioni: confetture, marmellate, ciliegie sciroppate, sciroppi.





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Ingredienti per 4 persone:

800 gr di ciliegie
320 gr di zucchero
½ litro di vino Barolo
Panna montata q.b.
Amaretti secchi q.b.

Procedimento

Lavate le ciliegie e asportate i noccioli.
Ponetele in una casseruola con il vino e lo zucchero e lasciate cuocere a fuoco bassissimo per mezz’ora.
Togliete dal fuoco ( il vino dovrà essere quasi del tutto assorbito), fatele raffreddare.
Distribuite qualche cucchiaio di ciliegie nelle coppe, coprite con la panna, aggiungete altre ciliegie e un amaretto sbriciolato.
Servite freddo.