martedì 31 marzo 2020

Marmellata di limoni


Sentiamo spesso parlare di marmellate, confetture e composte, ma in che cosa si differenziano?
La marmellata è un prodotto fatto di zucchero e agrumi (arancia, mandarino, limone, cedro, bergamotto, pompelmo) in cui la percentuale di frutta sia almeno il 20%. Le parti di agrumi utilizzabili sono polpa, purea, succo, estratti acquosi e scorza.
La confettura è un   prodotto contenente zucchero e polpa (o purea) di tutti gli altri tipi di frutta. La percentuale di frutta non è in generale inferiore al 35% (con differenze anche notevoli a seconda del frutto usato), ma sale al 45% nel caso della “confettura extra“.
La composta. In questo caso si ritiene che la percentuale di frutta non debba essere inferiore ai due terzi. Nella composta lo zucchero aggiunto è sensibilmente minore, così come il conseguente apporto calorico.
Le confetture, come le marmellate e le composte, sono semplicissime da preparare, ma bisogna porre molta attenzione ai contenitori che devono essere sempre ben lavati con acqua bollente e sterilizzati prima dell’utilizzo; i coperchi devono essere nuovi per garantire la chiusura ermetica.

Per sterilizzarli potete utilizzare vari metodi, personalmente utilizzo il seguente:
Lavo  i vasetti e i coperchi con acqua calda e detersivo, li sciacquo molto bene sempre con l’acqua calda e li asciugo.
Accendo il forno a 130 gradi (non di più perché si rischia di rompere il vetro) posiziono i vasetti e i coperchi assicurandomi che non si tocchino. Spengo il forno e li lascio lì per 20/25 minuti. Trascorso il tempo, li tolgo usando i guanti e invaso la confettura caldissima, poi chiudo ermeticamente e lascio raffreddare su dei sottopentola. Lo sbalzo di temperatura potrebbe far rompere i vasetti.



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Ingredienti per 3 barattoli  (tipo Bormioli) da 250 gr/cad.

1 kg di limoni bio
550 gr di zucchero di canna (ma potete usare anche quello bianco raffinato)
200 ml di acqua.

Procedimento

Lavate molto bene i limoni e spazzolati sotto l’acqua corrente.
Tagliateli a fettine sottili e togliete tutti i semi.

Metteteli in una ciotola e ricopriteli di acqua fredda.


Teneteli a mollo e in frigorifero per 12 ore cambiando l’acqua almeno 3 volte.
Trascorso il tempo scolateli e metteteli in una pentola d’acciaio ( non utilizzate mai l’alluminio per le conserve e le marmellate), unite lo zucchero, l’acqua e fate cuocere per 40 minuti.



Se volete potete anche frullare parzialmente con un mixer la marmellata in modo d' avere sia la purea che i pezzi di limone.

Spegnete il gas,  invasate la marmellata bollente e chiudete subito ermeticamente i vasetti. Metteteli a raffreddare su di un sottopentola. Quando saranno freddi premendo nel centro del tappo non dovete sentire nessun clic, il coperchio deve essere assolutamente piatto. Avrete così la certezza che si è formato il sottovuoto. Nel caso sentiate al centro del tappo il caratteristico clic, sterilizzateli. Metteteli in una pentola ricoperti d’acqua ( circa 4 cm sopra il tappo), divisi da strofinacci puliti per evitare che sbattendo si rompano e fateli bollire per 10 minuti. Lasciateli raffreddare nell’acqua, poi scolateli, asciugateli bene. A questo punto dovrebbero essere a posto e poneteli in dispensa al fresco e al buio.
Conservate al buio e al fresco e lasciate riposare  20/30 giorni prima di consumarla.





sabato 21 marzo 2020

Pane casereccio crestato

La sacralità del pane da millenni accompagna la vita dell'uomo e ne è diventato parte integrante. Prepararlo in casa non è difficile, richiede solo un pochino di tempo e amore nel ripetere gesti millenari. Dalla macinazione del grano duro si ottiene la semola integrale e la semola, macinando ulteriormente la semola si ottiene la "semola rimacinata" o "rimacinato". Questo prodotto è contraddistinto dal caratteristico colore giallo ambrato, (dovuto alla presenza di carotenoidi) proprio della semola, ma con una granulometria meno accentuata rispetto alla materia d'origine. Il rimacinato è prevalentemente impiegato per la panificazione puro o mescolato con farine di grano tenero, il prodotto che si ottiene è un pane a pasta gialla molto saporito e a lunga conservazione. 
Questo pane che ho preparato ha la particolarità di avere avuto una lunga lievitazione, (24 ore) che gli ha conferito una notevole digeribilità e un sapore tutto particolare e unico, diverso dal pane lievitato in meno ore.


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Ingredienti:
250 gr di semola rimacinata
250 gr di farina per panificazione
200 gr di lievito madre rigenerato
1 cucchiaio  di malto d’orzo o di miele d’acacia
340 ml d’ acqua
10 gr di sale fino
3 cucchiai d’olio extravergine d’oliva

Procedimento
In una ciotola setacciate la semola e la farina, disponete al centro il panetto di lievito madre rigenerato e versate lentamente l’acqua appena tiepida in cui avrete sciolto il malto d’orzo (o il miele) impastate inglobando tutta l’acqua. Versate l’impasto sulla spianatoia e continuate ad impastare  per almeno 15 minuti. Allargate leggermente l’impasto, versate l’olio e il sale e riprendete ad impastare fino ad ottenere un composto omogeneo, elastico ed asciutto.
Mettete un po’ d’olio in una ciotola, infarinatela, deponeteci l’impasto e chiudete con della pellicola. 
Mettetelo in frigorifero per dodici ore.  Trascorso il tempo, toglietelo dal frigorifero, dividetelo a metà. Prendete una metà e  e allargatela delicatamente con le mani fino ad ottenere un rettangolo di circa 1 cm di spessore.  Arrotolatelo su se stesso. Arrotondate le punte. Fate la stessa operazione con il rimanente impasto. Metteteli sulla leccarda ricoperta da carta da forno, coprite e fate lievitare in un luogo caldo e lontano da colpi d’aria o repentini abbassamenti di temperatura (l’ideale è all’interno del forno spento). Lasciate lievitare ancora per 12 ore.
Togliete l’impasto dal forno e spolverizzatelo con un po’ di farina. Accendete il forno a 210°C e mettete sul fondo un pentolino pieno d’acqua (serve a mantenere la giusta umidità).
Praticate un taglio per tutta la lunghezza  di uno dei pani di circa 1 cm di profondità e tagliuzzate i bordi con una forbice da cucina per creare le creste. Ripetete l’operazione con il rimanente impasto.


Infornate quando il forno è giunto a temperatura. Dopo 10 minuti abbassate il termostato a 190°C  e continuate la cottura ancora per 30 minuti.
Sfornate e fate raffreddare il pane su di una gratella.


Consigli: Se non avete il lievito madre fresco potete  utilizzare sia quello secco  sia  una bustina di lievito di birra liofilizzato. Aggiungetelo alla farina, unite l’acqua, il malto, e procedete come sopra descritto. Per il resto la preparazione è uguale. Importantissimo è aggiungere il sale alla fine poiché se dovesse venire a contatto con il lievito prima  impedirebbe la lievitazione.



mercoledì 11 marzo 2020

Tiramisù classico

Tiramisù è la quinta parola della cucina italiana più conosciuta all’estero, la prima per i dolci. Etimologia della parola Tiramisù: sollevami, rinforza il mio corpo deriva del dialetto trevigiano “Tireme su”, italianizzato in Tiramisù negli ultimi decenni del secolo scorso.
La memoria storica della “Gioiosa Marca” ricorda che il Tiramisù nasce a Treviso nella seconda metà del Settecento / Ottocento.
Una tradizione locale verbale ci ha tramandato che il nostro dolce sarebbe stato ideato da una geniale “maitresse” di una casa di piacere ubicata in centro storico a Treviso.
La “Siora” padrona del locale avrebbe ideato questo dolce afrodisiaco e corroborante per offrirlo ai suoi clienti alla fine delle serate allo scopo di rinvigorirli e risolvere i problemi connessi ai doveri coniugali al momento del loro rientro in famiglia.
Si narra che nel locale, quando gli uomini scendevano le scale un po’ provati, un’ avvenente maitresse preparava questo dolce e li ammoniva in codesto modo: “ desso ve tiro su mi “. Da qui origine del nome.
E’ nato così il Tiremesù un “viagra naturale” del ‘800, offerto ai clienti della maison del diletto.
In piazzetta Ancilotto in centro a Treviso un’antica locanda del tempo, l’attuale ristorante Le Beccherie, ha adottato questo dolce nel proprio menù per i clienti. Tiramisù dolce unico anche per l’iter delle sue origini: un “percorso inverso” dalle case alle locande, ai ristoranti, alle pasticcerie.
A supporto di questa storia leggendaria è la composizione degli ingredienti del Tiramisù, tutti nutrienti e ipercalorici: uova, zucchero, savoiardi, mascarpone, caffè e cacao. Anche la ricetta e la sua semplice preparazione avvalorano questa tesi, non bisogna essere un cuoco stellato per preparare questo dolce; chiunque è in grado di farlo e senza strumenti particolari.
Nel corso dei secoli, un velo di pruderie e di vergogna popolare ha nascosto la vera origine del Tiramisù. Difatti non viene ricordato nei libri fino alla caduta del conformismo legato al perbenismo storico avvenuto nella seconda metà del ‘900.
Testimonianza della presenza di questo dolce, nei secoli scorsi, sui tavoli imbanditi di casa nostra sono le nonne e bisnonne ultraottantenni. Queste signore ci raccontano che preparavano con arte e passione questo dessert per famiglia e amici, ben prima degli anni 1950. Prima della diffusione dell’elettricità e dei primi frigoriferi questo dessert, non a lunga conservazione, era consumato e conosciuto solo nella provincia di Treviso e zone limitrofe.
Alcuni aspetti peculiari tramandati a voce testimoniano in modo inconfondibile l’origine veneta e trevigiana del dolce. La ricetta deriverebbe dallo “sbatudin” un composto di tuorlo d’uovo sbattuto con lo zucchero, utilizzato comunemente dalle famiglie contadine trevigiane come ricostituente o per i novelli sposi. A questo è stato poi aggiunto mascarpone, caffè e cacao che tutti i nostri familiari ricordano di aver gustato fin da bambini prima dell’ultima guerra mondiale.
Ancor oggi, secondo usi e costumi trevigiani, si porta in dono alle donne puerpere, ai bambini e alle persone in stato di debolezza i biscotti savoiardi. Biscotti di forma oblunga, soffici, leggeri e facilmente digeribili. Prima della produzione industriale dei biscotti savoiardi si preparava questo dessert con biscotti friabili, spugnosi fatti in casa e nelle famiglie più povere con focaccia o pane vecchio imbevuto di caffè.
Il Tiramisù dei giorni nostri è un’evoluzione della tradizione locale di Treviso, è un dolce anche per i bambini ecco perché la ricetta tradizionale non contiene liquore.
Lo scrittore trevigiano Giovanni Comisso ( 1895-1969 ) è stato il letterato e anche il testimone più informato sulla ricetta del Tiramisù. Il poeta Comisso ha scritto nelle sue memorie e raccontato agli amici più stretti che sua nonna discendente del Conte Odoardo Tiretta era una devota del Tiramisù, anzi del Tirame-sospiro-sù, come Lei chiamava questo dessert e spesso consumava abitualmente come cena invernale. Da questi ricordi storici si evince che codesto dolce e ricetta erano conosciuti a Treviso già nell’1800.




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Ingredienti per 4 persone:

500 gr  di mascarpone
300 gr di savoiardi
150 gr di zucchero
3 uova
250 ml di caffè
4 cucchiai di Marsala
Cacao amaro q.b.

Procedimento

Preparate il caffè, aggiungete un cucchiaio di zucchero e lasciate raffreddare.
Dividete gli albumi dai tuorli.
Incorporate lo zucchero e un pizzico di sale ai tuorli e sbatteteli finché non diventeranno chiari e spumosi.
Incorporate il mascarpone e inglobate bene il tutto.
Con le fruste elettriche montate gli albumi a neve e uniteli al composto di mascarpone mescolando  lentamente dal basso verso l’alto.
Unite al caffè il Marsala e bagnate velocemente (1 secondo per lato) i savoiardi.
Formate un primo strato in una pirofila, ricoprite con la crema di mascarpone.
Continuate così fino ad esaurimento degli ingredienti terminando con una strato di crema.
Mettete in frigorifero per un paio d’ore e spolverizzate con abbondante cacao al momento di servire.








venerdì 6 marzo 2020

Cacciannanze marchigiana

Questa è un’antichissima ricetta marchigiana di quando il pane si faceva ancora in casa e con i forni a legna  ed era consuetudine , per verificare la giusta temperatura del forno, infornare una focaccia; quando questa era cotta, si sfornava, si toglieva la brace, si puliva il piano di cottura e s’infornava il pane.
Proprio a questa tecnica deve il nome l’antica focaccia marchigiana con olio e rosmarino: Caccia-annanze, cacciata davanti cioè messa per prima.




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Ingredienti per 4 focacce:
500 gr di farina 0
350g di acqua appena tiepida
3,5 gr di lievito di birra
1 cucchiaino di sale fino
Sale grosso q.b.
Olio extravergine d’oliva q.b.
Aghetti di rosmarino q.b.

Procedimento
In una ciotola setacciate la farina con il lievito, aggiungete poco alla volta l’acqua e impastate.
Quando avrà assorbito tutto il liquido  versate l’impasto su di una spianatoia infarinata, allargatelo un pochino e distribuite il sale fino. Riprendete ad impastare fino a quando avrete ottenuto un impasto omogeneo, ci vorranno circa 10 minuti.
Rimettetelo nella ciotola, coprite con un panno e lasciate lievitare fino al  raddoppio (il raddoppio dipende dalla temperatura esterna e ci vorranno circa 2 ore per una temperatura di 24°C fino a 5 ore per temperature inferiori).
Trascorso il tempo riprendete l’impasto, lavoratelo leggermente ancora per 1 minuto, poi dividetelo formando delle palline delle dimensioni di una palla da tennis.
Mettetele su di una leccarda foderata con della carta da forno e ben distanziate tra loro e lasciate lievitare ancora per 1 ora.
Riprendete le palline, allargatele un pochino, spennellatele con abbondante olio extravergine d’oliva, distribuite gli aghetti di rosmarino leggermente tagliuzzati e un pochino di sale grosso.
Infornate (forno statico e già caldo a 210°C) per 10/15 minuti.
Sfornate.
Potete gustarle così o farcite con della mortadella o altri salumi o del formaggio.


Variante: In alcune ricette si trova anche l’aglio da mettere sopra le focacce insieme al rosmarino e al sale. Personalmente le preferisco senza.





lunedì 2 marzo 2020

Schiscetta con misticanza tonno e semi vari


La parola schiscetta è un vocabolo dialettale lombardo che si riferiva originariamente al contenitore impiegato per il trasporto di vivande e usato tipicamente da operai e studenti.
Deve il suo nome al verbo schiacciare , schiscià in milanese, perché il cibo veniva schiacciato nel contenitore.
La schiscetta è stata prodotta in tantissime versioni, la più nota è la “La 2000” progettata specificamente per operai e studenti da Renato Caimi e prodotta industrialmente a partire dal 1952 in società con il fratello Mario dalla dirtta Pentolux di Nova Milanese.
A Milano e in Lombardia, questo modello di contenitore, è considerata un’icona del boom economico e il modello “La 2000” è esposto permanentemente al museo del design della Triennale presso la Villa Reale di Monza, è stata celebrata sa Assolombarda nel Gennaio del 2018 ed il brevetto originale è stato esposto a Roma presso l’Ara Pacis.
Tuttora il termine è utilizzato per descrivere l’azione di portare il cibo sul luogo di lavoro, studio o altro. 


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Ingredienti per 1 persona

100 g di insalatina misticanza
80 g di tonno al naturale
2 noci
1 cucchiaino di semi di girasole
1 cucchiaino di semi di zucca
1 cucchiaino di semi di lino
Olio extravergine d’oliva q.b.
Aceto q.b.
Sale q.b.

Procedimento

Lavate e sgrondate l’insalatina.
Mettetela nel  contenitore da trasporto, unite i gherigli di noci sminuzzati grossolanamente, i semi di girasole e quelli di zucca.
Unite il tonno ben sgocciolato e non mischiate.
Chiudete il contenitore e mettetelo in frigorifero.
Al momento del consumo condite con sale, olio e aceto.