martedì 12 settembre 2023

La storia del vino- Da Noè ai giorni nostri

Vino deriva dalla parola sanscrita “vena” formata dalla radice ven (amare), la stessa della parola Venus, Venere. Il vino è dunque, da sempre, legato all’amore, alla convivialità, alla gioia di vivere, alla cristianità, parte integrante del rito della Messa. Esso rilassa il corpo e la mente, ci inebria e ci predispone allo scambio con l’altro.
L’origine del vino si perde nella notte dei tempi ed è un po’ la storia dell’umanità, c’è chi, addirittura, fa risalire l’origine della vite sino a Adamo ed Eva, ipotizzando che il frutto proibito del Paradiso terrestre non fosse la mela ma l’uva: la Bibbia, nella Genesi, ci racconta che Noè salvò la vite dal diluvio universale portandola al sicuro sulla sua arca e che, terminato il diluvio, la piantò ottenendo una vigna e si ubriacò del suo vino.
Questo ci fornisce testimonianza di come, in Oriente, in epoca prediluviana, fossero già conosciute le tecniche enologiche. In effetti le prime tracce della coltivazione della vite si trovano in Asia Minore, nelle terre tra il Tigri e L’Eufrate: gli egiziani furono maestri e profondi conoscitori della pratica enologica, con la puntigliosità e la precisione che li distingueva, annotarono tutte le fasi del processo produttivo, dal lavoro nella vigna, alla conservazione. Con i geroglifici ci lasciarono numerose e dettagliate testimonianze su come si produceva il vino dei faraoni.

Essi furono dei grandi viticoltori e bevitori, Erodoto li descrive dettagliatamente mentre festeggiano il plenilunio in preda all’ubriachezza. I vini erano per lo più rossi e venivano conservati in anfore su cui il produttore apponeva un sigillo con l’anno della vendemmia, un marchio d.o.c. ante litteram.
Grazie ai Fenici e ai Greci il vino giunse in Italia e in Francia.




Furono i Greci a perfezionare i metodi di vinificazione e l’ubriachezza assunse un carattere sacrale al punto che nell’Olimpo fu assegnato un posto importante a Dioniso, figlio di Zeus, dio del vino. Dalla Grecia all’Italia il passo fu breve. In Italia, allora chiamata Enotria cioè terra della vite, fiorì la civiltà del vino. Nelle colonie greche in Calabria, a Sibari, fu addirittura costruito un enodotto di argilla che convogliava il vino verso il porto dove era imbarcato. La produzione e il consumo del vino passarono dai Greci ai Romani che la diffusero in tutte le province dell’Impero Romano fino a raggiungere l’Europa settentrionale.

 

Anfore romane per il trasporto del vino

Fonte: Museo Navale Romano - Albenga

I romani erano a conoscenza delle proprietà battericida del vino (come dimostrò nel 1866 L. Pasteur nel suo scritto Etudes sur le vin in cui scrive “il vino è la più salutare ed igienica di tutte le bevande”) e lo portavano nelle loro campagne militari come bevanda dei legionari. Tuttavia, il vino di Roma aveva poco a che vedere con quello che oggi conosciamo: i Romani lo bollivano per conservarlo meglio e così lo trasformavano in un denso liquido dolciastro di alta gradazione e lo allungavano con l’acqua (da qui il verbo mescere, in latino mescere significa mescolare), talvolta con quella di mare per renderlo meno acido. Le mense dei patrizi avevano un esperto che decideva le percentuali di vino e acqua da mischiare. Era molto gradito anche il “mulsum” (vino con il miele) ed era normale speziare e addolcire il vino con zucchero di canna, pepe, resina, sale, cannella, aloe e sambuco.

Era conservato in otri di terracotta rivestiti di pece e tenuti vicino alle canne fumarie. Questo nettare di Bacco era riservato solo agli uomini e il consumo era rigorosamente vietato alle donne. Anche i romani amarono a tal punto questa bevanda da assegnargli un dio: Bacco.
Nel frattempo, ci fu un’invenzione, da parte dei Galli, che rivoluzionò per sempre la conservazione del vino: la botte. I romani iniziarono quindi a utilizzare barili di legno, introducendo ed enfatizzando il concetto di “invecchiamento” e “annata”. Dal secondo secolo si cominciò a dare importanza alla coltivazione della vite nella Loira, nella Borgogna e nella Champagne.
Il declino dell’Impero Romano e la nascita del Cristianesimo segnarono l’inizio di un periodo controverso per il vino, da un lato esso era accusato dalla Chiesa di portare ebbrezza e perdizione, dall’altro i monaci benedettini non solo tennero in vita la cultura del vino, ma le diedero nuova linfa: produrre quella prelibata bevanda, utilizzata nel rito della Santa Messa, equivaleva a diffondere il messaggio di Dio. Nei campi di abbazie, monasteri e chiese si coltivava la vite. Furono i monaci a sperimentare nuovi uvaggi e tecniche innovative (fu un benedettino italiano a inventare il metodo della rifermentazione in bottiglia, poi ripreso da Dom Pérignon, l’inventore dello champagne).  Un ulteriore impulso al tentativo di produrre vini di alta qualità, specialmente in Borgogna, fu dato da Bernardo, ex monaco benedettino che, nel 1112, fondò l’ordine dei Cistercensi.
Contemporaneamente, nel bacino del Mediterraneo, la diffusione dell’Islamismo, tra l’Ottocento e il millequattrocento d.C., mise al bando la viticoltura in tutti i paesi conquistati.
Nel Rinascimento si torna a dare al vino il suo ruolo di protagonista della cultura occidentale, i mercanti inglesi, olandesi e veneziani trasportavano via mare ettolitri di vino, mentre i grandi Chateaux di Bordeaux iniziarono a produrre i grandi vini di pregio che conquisteranno la fama.


I conquistadores, nel Nuovo Mondo appena scoperto, scoprirono che il vino sopportava male la traversata e portarono con sé le talee di viti europee, per impiantarle sul suolo americano.
Il Settecento fu la vera epoca d’oro per il vino: l’arrivo della cioccolata dall’America, del caffè dall’Arabia, del tè dalla Cina e la diffusione della birra e dei distillati, indussero i produttori a cercare una qualità migliore per competere con le nuove bevande e questa necessità diede grande impulso alla sua conoscenza e alla ricerca di nuove tecniche di produzione. Fu inventato l’imbottigliamento con il tappo di sughero che sostituì i piccoli legni avvolti da stracci imbevuti nell’olio o legati da una colta di cera utilizzati fino ad allora per tappare le bottiglie; fu messa a punto la tecnica Champenois, si studiarono i lieviti e gli zolfi e si inventarono i torchi.
La Francia divenne la padrona assoluta e incontrastata dei grandi vini di Bordeaux e della Champagne che esportava in tutto il mondo. Fu in questo periodo che, sbarcato dal Nuovo Continente, con un battello a vapore, si diffuse un pericoloso nemico della vite: la filossera. Quest’afide micidiale divorerà le vigne europee per quarant’anni causando danni enormi, solo nel 1910, si riuscì a sconfiggerlo grazie all’intuizione di un francese che innestò le viti europee su quelle americane che ne erano immuni. Solo in poche zone esistono ancora dei vigneti che resistettero all’attacco dell’afide e si chiamano “franchi di piede”. In Italia possiamo trovarli in Alta Val d’Aosta (Blanc de Morgex), nell’area flegrea in Campania e ai piedi dell’Etna in Sicilia.
Nel diciannovesimo secolo si consolidò la posizione del vino nella civiltà occidentale, alla tradizione contadina si affiancarono studiosi che si adoperarono per la realizzazione di vini di maggiore qualità.
Ai nostri giorni, questa deliziosa bevanda è molto conosciuta e consumata in tutto il mondo. L’Italia è un paese eccezionalmente vocato alla viticoltura (ricordiamoci che i Greci la chiamarono Enotria, terra del vino) ma, questa vocazione, non è mai stata sfruttata appieno: fortunatamente, da qualche anno, parecchi produttori italiani lavorano sulla qualità, sulla bassa resa per ettaro e sull’applicazione di criteri scientifici in fase di vinificazione e questo consente la produzione di ottimi vini che nulla hanno da invidiare ai grandi vini francesi e, anche tra i consumatori, si va diffondendo la cultura del vino che trasforma un “bevitore” in un “degustatore” consapevole che il buon vino è un’opera d’arte, è il nettare degli dei!

Arianna e Bacco – Tiziano

 

CANZONA DI BACCO

Lorenzo De’ Medici

 

Quant'è bella giovinezza,
      che si fugge tuttavia!
      Chi vuol esser lieto, sia:
      di doman non c'è certezza.

    Quest'è Bacco e Arianna,
      belli, e l'un de l'altro ardenti:
      perché 'l tempo fugge e inganna,
      sempre insieme stan contenti.
      Queste ninfe ed altre genti
  sono allegre tuttavia.
      Chi vuol esser lieto, sia:
      di doman non c'è certezza.

      Questi lieti satiretti,
      delle ninfe innamorati,
  per caverne e per boschetti
      han lor posto cento agguati;
      or da Bacco riscaldati,
      ballon, salton tuttavia.
      Chi vuol esser lieto, sia:
  di doman non c'è certezza………

 

 Bibliografia: Enoteca Italiana – Tutto Vino- Giunti Demetra Editore

Autore: Maria Antonietta Grassi

Se vi è piaciuto il mio articolo e volete leggere anche quello che descrive le varie vinificazioni cliccate qui

 

 

 

 

domenica 10 settembre 2023

Polpettone ligure

Il polpettone ligure è un piatto tipico e molto apprezzato della cultura gastronomica della Liguria, ma il suo nome è fuorviante in quanto non contiene carne. Si tratta in realtà di un delizioso sformato dal guscio croccante e il cuore morbido.
Di origine contadina, semplicissimo ma gustoso e nutriente, lo preparavano con tutto ciò che avevano a disposizione e lo insaporivano con la maggiorana, presente in quasi tutti i piatti liguri.
La cucina ligure ha la caratteristica di usare e sfruttare al meglio gli ingredienti derivanti da tutto quello che ha da offrire il suo territorio, ricco di dislivelli e particolarmente impervio, che gli abitanti cercano di sfruttare al meglio.
Una viticoltura sui terrazzamenti, una produzione olearia d’eccellenza con uliveti sulle alture costiere, favolose erbe aromatiche come basilico, maggiorana e borragine, l’aglio, le conosciutissime olive taggiasche e gli spettacolari carciofi di Albenga sono solo alcune delle prelibatezze che questa terra ci offre.
Grazie alla storia della regione, la sua cucina rappresenta una vera eccellenza che mescola suggestioni spagnole, portoghesi e provenzali con la tradizione mediterranea e gli ottimi ingredienti presenti sul territorio alcuni dei quali, come le patate e i fagiolini, giunsero a Genova, città mercantile, provenienti dalle Americhe e che si sono imposti fondendosi con i prodotti locali.


LE IMMAGINI E I TESTI PUBBLICATI IN QUESTO SITO SONO DI PROPRIETA’ DELL’AUTORE E SONO PROTETTI DALLA LEGGE SUL DIRITTO D’AUTORE N. 633/1941 E SUCCESSIVE MODIFICHE. COPYRIGHT © 2010-2050. TUTTI I DIRITTI RISERVATI A IL POMODORO ROSSO DI MARIA ANTONIETTA GRASSI. VIETATA LA RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE, DI TESTI O FOTO, SENZA AUTORIZZAZIONE.

Ingredienti per una teglia di 30 x 23 cm.

500 gr di patate

500 gr di fagiolini
80 gr di Parmigiano Reggiano grattugiato
70 gr di pane grattugiato
3 uova grandi
1 cipolla
3 rametti di maggiorana fresca o 1 cucchiaio se secca
Noce moscata q.b.
Sale fino q.b.
Pepe q.b.
3 cucchiai di olio extravergine d’oliva
Burro per imburrare la teglia

 Procedimento

Spuntate, lavate i fagiolini e fateli cuocere in acqua salata per dieci minuti.

Scolateli e tagliateli a pezzetti di circa 3 cm.
Lavate bene le patate poi lessatele con la buccia per 30/35 minuti dal bollore.
Scolatele, pelatele e schiacciatele con lo schiacciapatate in una ciotola capiente.
Scaldate l’olio in una padella e unite la cipolla tagliata sottile (alla veneziana), fatela dorare per qualche minuto poi unite i fagiolini e lasciate insaporire per due minuti.
Spegnete il gas e lasciate raffreddare.
Nel frattempo, grattugiate il Parmigiano, imburrate la teglia e cospargetela con 30 gr di pane grattugiato.
Accendete il forno statico a 180°.
Nella ciotola con le patate aggiungete i fagiolini e la cipolla, la maggiorana, la noce moscata, il sale, il pepe, 60 gr di Parmigiano e le uova.





Amalgamate bene il tutto poi versatelo nella teglia livellandolo. Deve avere uno spessore di massimo 3 cm circa e tracciate con i rebbi di una forchetta delle righe incrociate.
Unite il rimanete pane grattugiato al Parmigiano e distribuite tutto sul polpettone, irrorate con un filo d’olio.



Infornate (mi raccomando forno già a temperatura) e fate cuocere per 45 minuti.
Se dovesse colorirsi troppo copritelo con un foglio d’alluminio.
Una volta cotto dovrà essere ben dorato in superficie.
Sfornate, lasciate riposare per una ventina di minuti e servite.
Il polpettone ligure va servito tiepido o freddo.

 


 

martedì 5 settembre 2023

Dal grappolo al vino



LE IMMAGINI E I TESTI PUBBLICATI IN QUESTO SITO SONO DI PROPRIETA’ DELL’AUTORE E SONO PROTETTI DALLA LEGGE SUL DIRITTO D’AUTORE N. 633/1941 E SUCCESSIVE MODIFICHE. COPYRIGHT © 2010-2050. TUTTI I DIRITTI RISERVATI A IL POMODORO ROSSO DI MARIA ANTONIETTA GRASSI. VIETATA LA RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE, DI TESTI O FOTO, SENZA AUTORIZZAZIONE.


Vino deriva dalla parola sanscrita “vena” formata dalla radice ven (amare), la stessa della parola Venus, Venere. Il vino è dunque, da sempre, legato all’amore, alla convivialità, alla gioia di vivere, alla cristianità, parte integrante del rito della Messa. Esso rilassa il corpo e la mente, ci inebria e ci predispone allo scambio con l’altro.
L’origine del vino si perde nella notte dei tempi ed è un po’ la storia dell’umanità, c’è chi, addirittura, fa risalire l’origine della vite sino ad Adamo ed Eva, ipotizzando che il frutto proibito del Paradiso terrestre non fosse la mela ma l’uva: la Bibbia, nella Genesi, ci racconta che Noè salvò la vite dal diluvio universale portandola al sicuro sulla sua arca e che, terminato il diluvio, la piantò ottenendo una vigna e si ubriacò del suo vino.
Il Piemonte è terra di nobili vini su cui sono stati scritti trattati ed enciclopedie: ad essi sono stati dedicati musei, itinerari, scuole di alta specializzazione e quant’altro.
Quando si pensa ai pregiati vini piemontesi non si può fare a meno di pensare alle colline su cui crescono vigneti stupendi, con i tipici caldi colori autunnali, non solo belli da vedere per le loro armoniose geometrie, ma oggi ancor più importanti per un’economia agricola sempre più radicata ed efficace.


Ogni grappolo racconta il miracolo delle stagioni, del sole, della pioggia, di un lavoro che ha mille sfumature da percepire. Questa è la fantastica magia di un popolo di lavoratori che ha fatto di quel vino un miracolo, un miracolo che vede nella vendemmia la sua sublimazione quando il grappolo abbandona la vigna e va a riposare nel legno. Nel riposo si determinerà la grande annata che arriva da una terra speciale dove un gruppo di agricoltori, lavorando insieme, hanno dato dignità al vino. Questa piccola storia, quasi una favola, ha fatto si che molti agricoltori del passato non abbandonassero il loro podere, quella grande idea, quell’attaccamento al territorio, ha garantito il decoro, ha dato lustro e grandezza al lavoro di questi campi e di queste colline. Oggi quelle uve, quel vino sono diventati un simbolo dell’Italianità nel mondo e quella cantina un punto di riferimento culturale per un piccolo mondo antico che conserva gelosamente il passato e dona alla modernità un emblema.
A inizio ottobre, quando gli acini sono gonfi e dolci, inizia un rito molto importante, che ha un fascino arcaico e magico: la vendemmia.
Inizia così la trasformazione dell’uva che diventerà quel nettare che tutti conosciamo con il nome di vino.


I grappoli vanno raccolti manualmente prestando molta attenzione al trasporto: l’uva deve arrivare integra e asciutta per poter poi procedere immediatamente alla “
diraspatura” (separare l’uva dai raspi) e alla pigiatura.


Incomincia quindi la
fermentazione, cioè quel processo che porterà l’uva a trasformarsi in vino.


Antico spremi grappoli


Mosto
La vinificazione avviene grazie ai lieviti che si trovano sulle bucce degli acini e che trasformano gli zuccheri dell’uva in alcol etilico (fermentazione alcolica) e, spesso, per ottenere dei vini di alta qualità, sono aggiunti al mosto dei lieviti selezionati.

Ogni tipologia di vino (rosso, bianco, rosato) seguirà un suo percorso di vinificazione, vediamo in cosa consiste:

 

Vinificazione in rosso

Il processo della vinificazione in rosso inizia togliendo subito il raspo per evitare che trasmettano troppi tannini che diluirebbero il colore, al contrario, a questo scopo, sono lasciati le bucce e i semi (vinaccioli) che donano al vino il colore rosso. Più tempo le bucce restano a contatto con il mosto, più forte sarà l’intensità del colore. Di solito questo tempo oscilla tra i 4/5 giorni per i rossi più leggeri, fino ad arrivare a un massimo di un mese per i grandi rossi (Barolo, Brunello, Barbaresco) ricchi di tannini, da far invecchiare.

Concluso questo processo, seguito scrupolosamente con continui rimontaggi, cioè con apporti di ossigeno al mosto per consentire ai lieviti di moltiplicarsi e impedire così arresti di fermentazione, si procede alla “svinatura”.
Si tolgono dal mosto le parti solide, cioè le vinacce, e sono torchiate per estrarre il vino che contengono; si tratta di un vino di torchio, molto ricco di colore e di tannini che è vinificato a parte e aggiunto al vino fiore per dargli spessore.
Il mosto è quindi travasato in contenitori d’acciaio, dove continua una fermentazione lenta, alla quale fa seguito una seconda fermentazione detta malolattica innescata dai batteri e non dai lieviti come nella fermentazione alcolica.


A questo punto il vino comincia il suo
processo di maturazione: il colore acquista tonalità meno vive e più calde, il sapore diventa pieno e rotondo.
Dopo la maturazione, per i vini adatti, segue la fase d’invecchiamento in grandi botti o in piccoli fusti di rovere (barriques, fusti di legno di quercia da 225 litri) che conferiscono al prodotto aroma di spezie e legno.

La durata di questo riposo sarà definita dal tipo di vino e dai suoi disciplinari: due anni o più per ottenere il titolo “riserva”.

L’invecchiamento continuerà nelle bottiglie perché l’ambiente privo di ossigeno porterà il vino al suo equilibrio ottimale.

Vinificazione in bianco

La vinificazione in bianco differisce da quella in rosso perché le parti solide dell’uva non devono rimanere a macerare con il mosto, vanno quindi separate immediatamente utilizzando delle apposite pigiatrici, con membrane a camera d’aria, che comprimo l’uva con molta delicatezza e consentono alle parti solide di non cadere nella vasca insieme al mosto. Le vinacce sono torchiate subito e il risultato della torchiatura può essere aggiunto, in parte o tutto, al mosto. Questo mosto, quasi privo si tannini, è particolarmente delicato e necessita di molte attenzioni.

Per ottenere un vino bianco fruttato, da bere giovane, è opportuno farlo fermentare in un tank di acciaio a 18°C: se, al contrario, vogliamo un vino da invecchiamento, bisogna farlo fermentare in botti di legno o barriques. In questo modo il vino trarrà dal legno i tannini necessari alla sua durata e conservazione.


Vinificazione in rosato

I vini rosati si ottengono vinificando in bianco le uve a bacca rossa; il mosto è mantenuto pochissimo a contatto con le vinacce (24/36 ore), quindi si svina e si fa fermentare il mosto a bassa temperatura, esattamente come per i bianchi.

I vini rosati, freschi e fragranti, devono essere consumati entro un anno dalla loro produzione.


Vino Novello

Si tratta in un vino fresco e profumato, deve il suo nome al fatto che è prodotto subito dopo la vendemmia e non è assolutamente adatto all’invecchiamento.

Per ottenerlo si utilizza la tecnica della macerazione carbonica, in altre parole, l’uva non pigiata è messa, tutta intera (raspi compresi), per 7/9 giorni, in serbatoi privati dell’aria mediante l’immissione di anidride carbonica, questo fa sì che i lieviti migrino dalla buccia alla polpa in cerca di ossigeno e acqua, dando così inizio a un processo di fermentazione.
Si procede poi alla vinificazione in rosso, con una pigiatura leggera e un’altra fermentazione di 3-4 giorni. Il vino ottenuto è leggero e dal sapore molto simile al chicco d’uva. Non può essere commercializzato prima del 6 novembre e il termine ultimo per l’imbottigliamento è il 31 dicembre dello stesso anno della vendemmia.


Autore: Maria Antonietta Grassi

 

 

Bibliografia: Enoteca Italiana – Tutto Vino- Giunti Demetra Editore

 

 

 

 

 

Tisana alle more, mela rossa e cannella

Una tisana antiossidante, vitaminica e idratante, ideale da consumare dopo cena.
La mora di rovo è di colore nero alla maturazione e si presenta come un arbusto di media grandezza, rampicante o prostrato la cui altezza può variare da 3 a 5 metri. Forma dei cespugli piuttosto fitti e voluminosi tanto da sovrastare altre piante che le sono vicine, e i suoi getti spinosi sono singoli e arrivano a misurare 5 metri di lunghezza.
Sono un frutto composto da tante drupeole, mediamente arrivano a misurare 2 cm.; dapprima sono verdi poi man mano diventano rosse, blu scuro, nere, di aspetto lucido. Hanno un gusto dolce aromatico e sono molto succose.
Contengono un’alta percentuale di vitamina C e le foglie, usate in decotto, sono efficaci contro le irritazioni della bocca, inoltre sono ricche anche di fibre, vitamina K, acido folico, e minerali come il manganese e il potassio.
Nell’alimentazione, le more sono destinate per la gran parte a essere consumate fresche per il resto sono utilizzate per fare soprattutto marmellate.


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Ingredienti per 1 persona:

4 more

1 buccia di mela rossa di Cuneo IGP
1 pizzico di cannella
250 ml di acqua

Procedimento 

Lavate delicatamente le more.

Lavate la mela e sbucciatela
Mettete tutto in un pentolino, aggiungete la cannella e l’acqua fredda.
Accendete il fuoco e, appena inizia l’ebollizione, spegnetelo.





Coprite con un coperchio e lasciate in infusione 10 minuti.
Filtrate con un colino premendo sulle more per far fuoriuscire  tutto il liquido.
Dolcificate a piacere con miele o zucchero di canna.



 

 


lunedì 28 agosto 2023

Insalata di cetriolo barattiere

Il barattiere è un tipo particolare di cetriolo derivato da un’ibridazione spontanea tra cetriolo e melone.
Ha una forma tendenzialmente sferica, di colore verde, la polpa è croccante e risulta piacevole al palato.
È coltivato prevalentemente in Puglia in provincia di Bari, Brindisi, Lecce e Taranto, zone tradizionalmente calde e assolate.
Deve il suo nome al fatto che, solitamente, in campagna veniva “barattato” con altri prodotti.
Viene raccolto, ancora immaturo, dalla fine di giugno fino a tutto settembre e gustato nelle insalate o anche a fine pasto come frutta, infatti, se lo si lascia maturare, diventa un melone molto profumato dalla buccia giallo tenue, quasi bianca.
Altamente digeribile, ricco di acqua, sali minerali e vitamine A e C.
Poco calorico, diuretico e dissetante, per cui il consumo è indicato per contrastare la ritenzione idrica e per chi segue una dieta ipoglicemica.


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Ingredienti per 4 persone:

2 barattieri medi

Una ventina di pomodorini
100 gr di radicchio rosso tondo
50 gr di rucola
20 olive nere taggiasche
5 cucchiai di olio extravergine d’oliva
1 limone bio
Sale fino q.b.

Procedimento

Lavate e sgrondate le insalate, tagliate a strisce il radicchio rosso e mettetelo in una grande ciotola o in quattro ciotoline individuali, unite anche la rucola e le olive.
Lavate i pomodorini, tagliateli a metà ed aggiungeteli alle insalate.
Tagliate a metà i barattieri, con un cucchiaio eliminate i semi interni, sbucciateli, tagliateli a fettine o cubetti (come preferite) e unite agli altri ingredienti.
Con un rigalimoni create delle striscioline di buccia di limone (solo la parte gialla) e aggiungeteli nella ciotola.
Spremete il limone, mettetelo in una ciotola, unite il sale e l’olio ed emulsionate il tutto (vinaigrette), versate nella ciotola, mescolate e servite.
Se la gradite, potete aggiungere anche una cipolla di Tropea tagliata fettine sottili.


 

 

 

 

 

 

venerdì 25 agosto 2023

Grappa al ribes

La grappa è un'acquavite di vinaccia ricavata da uve prodotte e vinificate esclusivamente in Italia, distillata in Italia.  Anche il distillato di vinaccia prodotto nella Svizzera italiana viene, legittimamente, etichettato e commercializzato come grappa.

Vi sono tre principali tipologie di vinacce con cui distillare la grappa:

Vinacce fermentate ottenute dalla svinatura di vini rossi.

Vinacce semi-vergini, ottenute nella vinificazione in rosato; medesimo risultato si ottiene dalle vinacce di vini dolci;

Vinacce vergini, ottenute dalla "sgrondatura" nella vinificazione in bianco per ottenere vini bianchi. In questo caso, le vinacce non hanno subito alcuna fermentazione significativa.

Le vinacce vergini o semivergini devono essere obbligatoriamente fermentate prima di dare avvio alla distillazione in quanto la grappa si ottiene unicamente da vinacce fermentate.

Grappe di qualità elevata richiedono che si separino, prima della distillazione, i vinaccioli. A maggior ragione, è molto raro che una distilleria lasci, anche parzialmente, i raspi insieme alle vinacce.

Non bisogna confondere la grappa, che è un distillato di vinacce fermentate, con l'acquavite d'uva, che è un distillato di mosto. Allo stesso modo, la grappa non è un distillato di vino (Brandy se invecchiato in legno e cognac o armagnac se francese). Quindi distillato di vinacce, distillato di mosto (d'uva) e distillato di vino sono tre bevande alcoliche diverse.
L'acquavite di vinaccia era ottenuta in tutto l’arco alpino (ma il distillato di vinaccia era ottenuto da tempi immemori in varie zone d'Europa). In Nord Italia a seconda delle regioni era chiamata “branda” (Piemonte), “sgnàpa” o “gràspa” (Triveneto). Successivamente si impone il termina lombardo grapa, che indica il raspo dell'uva. Non è quindi legata al monte Grappa, e quindi neppure con Bassano del Grappa, dove pur si trovano alcune delle più celebri distillerie del Veneto.
Per legge il contenuto alcolico per la grappa non deve essere inferiore 37,5% in volume, mentre non è fissato un limite massimo: tipicamente, ma non è una regola, varia tra il 40% e il 60%.
Il grado alcolico è raggiunto direttamente, nel caso delle grappe "pieno grado", oppure viene abbassato aggiungendo acqua, solitamente demineralizzata, al prodotto della distillazione. La quantità di acqua utilizzata per la diluizione dipende, ovviamente, dal titolo alcolometrico di partenza e da quello che si vuole ottenere.
La grappa può essere classificata in base all'affinamento e/o alle lavorazioni che seguono la distillazione. 
Una grappa può essere definita:

Giovane: quando è conservata in contenitori inerti (ad esempio in vetro o in acciaio) fino alla vendita;

Aromatica: quando deriva da uve aromatiche quali Brachetto, Malvasia, Moscato e Traminer aromatico;

Invecchiata: quando matura per almeno 12 mesi in botti di legno;

Riserva Invecchiata o Stravecchia: quando matura per almeno 18 mesi in botti in legno;

Aromatizzata, con l'aggiunta di aromatizzanti naturali, come erbe, radici o frutti o parte di esse.

Fonte: Wikipedia


Foto di Pictavio

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Ingredienti:

1 litro di grappa

180 gr di bacche di ribes rosso
3 chiodi di garofano
Un pezzettino di cannella (facoltativo)
4 cucchiai di zucchero semolato

Preparazione

Lavate i ribes, sgranateli e metteteli su di un canovaccio per farli asciugare perfettamente.

Inseriteli in un vaso perfettamente pulito con la chiusura ermetica , personalmente utilizzo quello della Bormioli.
Aggiungete i chiodi di garofano, la cannella, lo zucchero e la grappa.
Mescolate delicatamente, chiudete e lasciate macerare al buio nella dispensa per quaranta giorni agitando una volta ogni due giorni.
Trascorso il tempo filtrate con un colino e una garza sterile e imbottigliate.
Lasciate riposare, sempre al buio, per altri quaranta giorni prima di gustare la vostra grappa al ribes.

 

 

 

 

 

giovedì 24 agosto 2023

Hummus piccante

L’hummus b’tahini, che in arabo vuol dire ceci, è una ricetta tipica del Medio Oriente e da noi viene chiamato semplicemente hummus. Si consuma sia come antipasto, spalmato su dei crostini, sia come contorno.
Le sue origini non sono certe poiché tutti i paesi mediorientali ne rivendicano la creazione.
Di certo c’è solo che i ceci esistevano in Turchia già diecimila anni fa, mentre la tahina, secondo ingrediente di questa deliziosa crema, viene già citata nei libri di cucina arabi del XIII secolo.
Per la preparazione di questa ricetta potete usare la tahina già pronta o potete prepararla voi come sotto descritto.
Ovviamente se non amate il gusto piccante non utilizzate il peperoncino.


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Ingredienti:

500 gr di ceci cotti
1 limone
2 cucchiai di semi di sesamo bianchi
2 peperoncini piccanti
1 spicchio d’aglio
Olio extravergine d’oliva q.b.
1 cucchiaino di sale fino

Procediment0

Se non trovate il tahini preparatelo procedendo nel modo seguente:

tostate, a fuoco basso, i semi di sesamo in una padella antiaderente per 1 minuto, toglieteli dal fuoco e lasciateli raffreddare completamente.
Metteteli in un frullatore, aggiungete 1 cucchiaio di olio, un pizzico di sale e frullateli fino ad ottenere una crema omogenea, avrete ottenuto il tahini.
Unite i ceci, versate mezzo bicchiere d’acqua, l’aglio, il sale e il resto del succo di limone, frullate fino ad ottenere un composto cremoso e omogeneo,
Aggiungete 2 cucchiai d’olio e i peperoncini, continuate a frullare ancora per qualche minuto fino a che la crema sarà uniforme e cremosa.
A questo punto il vostro hummus è pronto per essere gustato su dei crostini, per farcire delle uova sode, come pinzimonio per accompagnare delle verdure crude, e per tutto quello che la vostra fantasia vi suggerisce. 

 

 

 

domenica 20 agosto 2023

Insalata di seppie mais piselli e olive

La seppia appartiene alla stessa famiglia di polpi e calamari; è un mollusco cefalopode, cioè, dotato solo di testa e piedi e possiede notevoli capacità mimetiche che gli consentono di cambiare colore in brevissimo tempo. Le sue dimensioni vanno dai quattro centimetri della seppiola fino ai 120 centimetri della seppia comune.
All’interno del suo corpo troviamo una conchiglia detta “osso di seppia” che le consente di galleggiare perché è pieno di bollicine di gas che lo rendono più leggero dell’acqua.
La seppia si difende dagli attacchi dei predatori espellendo inchiostro che si trova in una sacca all’interno del suo corpo.
È diffusa in tutti i mari e gli oceani del globo e vive sui fondali costieri melmosi o sabbiosi. In Adriatico vi sono due distinte popolazioni di seppie, una si riproduce in primavera, l’altra in autunno.
Le sue caratteristiche nutrizionali sono molto simili a quelle dei cosiddetti “pesci magri”: è ricca di vitamina A, B1, D e di sali minerali quali il fosforo, il potassio, il calcio e proteine. È ricca di fibre e quasi priva di grassi per cui è consigliata nelle diete ipocaloriche.
Infine, per riconoscere la freschezza della seppia, occorre controllare il colore che deve essere iridescente, non deve avere macchie particolari sul corpo e deve profumare di mare. La carne deve essere soda e gli occhi devono avere un colore nero brillante. Se l’inchiostro è rappreso, probabilmente è stata congelata.
La cottura delle seppie è particolare: Si possono cuocere solo per 10 minuti, ma se superate questo tempo diventano dure e occorre proseguire la cottura per altri 30 minuti.


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Ingredienti per 4 persone:

700 gr di seppioline già pulite

1 confezione di mais e piselli da 170 gr
Una ventina di olive nere taggiasche sott’olio
1 mazzettino di prezzemolo
1 cucchiaio di capperi sottaceto
1/2 spicchio d’aglio
1 limone bio
Olio extravergine d’oliva q.b.
Sale fino q.b.

Procedimento

Normalmente le seppioline le trovate già pulite e basta solo lavarle bene, diversamente leggete sotto come fare per pulirle.

Lavate il prezzemolo e tritate le foglioline con mezzo spicchio d’aglio e i capperi.
Ponete sul fuoco una pentola con dell’acqua fredda e aggiungete il succo di mezzo limone, le seppioline e portate a bollore.
Fatele cuocere per 35 minuti.
Scolatele e mettetele in una ciotola, aggiungete le olive, unite il mais e i piselli ben sgocciolati dal liquido di conservazione.
Condite con il trito di prezzemolo, aglio e capperi, irrorate con l’olio e il rimanente succo di limone.
Mescolate e mettete in frigo se la gradite fredda, ma può essere consumata anche tiepida

Come pulire le seppie

Indossate dei guanti di lattice per evitare di macchiarvi le dita con il nero di seppia, poi sciacquatele con delicatezza sotto il getto dell’acqua corrente a testa in giù.

Fate un taglio verticale sul retro delle seppie e con la punta delle dita individuate l’osso ed estraetelo.
Estraete delicatamente anche la sacca nera nella quale è presente il nero di seppia, senza schiacciarla, mettetela in una ciotolina con un pochino d’acqua, potrà servirvi per preparare un ottimo piatto di pasta al nero di seppia.
Rimuovete le interiora, incidete la pelle della seppia per rimuoverla interamente, individuate il “sottopelle” e sollevatela in modo uniforme e in un unico momento.
Dalla testa eliminate il rostro o “becco”: facile da individuare poiché posizionato al centro dei tentacoli. Fate pressione con le dita spingendolo verso l’alto.
Infine, rimuovete gli occhi.
Lavate accuratamente sotto il getto dell’acqua corrente e in profondità.